La ripresa del calcio: calendario frenetico a ritmi lenti

Tre giornate di campionato giocate dopo la ripresa post coronavirus. Il calcio è ripartito senza grandi scossoni. In linea di massima i valori sono stati rispettati senza che nessuno possa storcere il naso. Certo, è un altro campionato. Ritmi che inevitabilmente sono apparsi più bassi rispetto a quando è stata giocata l’ultima partita prima della sosta forzata. Il calendario, ovviamente non aiuta. Praticamente si gioca tutti i giorni, in Italia come in Spagna, senza soluzione di continuità, al fine di permettere a tutte le squadre di portare a termine la stagione. Giocare ogni tre giorni, non è certo il massimo. Già la condizione fisica è quella che è, visto che la ripresa segna più l’avvio di un precampionato dove trovare soprattutto il ritmo gara.

Quasi tre mesi di stop, si sapeva, avrebbero lasciato il segno. Non in tutte, ma nella maggior parte dei casi, i ritmi non sono indiavolati. Vuoi per la preparazione, vuoi anche perché a giugno il campionato era bello che finito, mentre adesso è praticamente entrato nel cuore della stagione. Le temperature alte di giugno, rappresentano un altro problema, come gli orari delle gare anche se, come diceva Goldoni, sempre meglio che lavorare. Eppure proprio gli orari rappresentano il tallone d’Achille di una ripartenza lenta e farraginosa. La partita serale è stata posticipata di un’ora, dalle 20.45 alle 21.45, per problemi televisivi, non tanto per il calcio, perché non ci sarebbe stata differenza tra i due orari. Semmai la lamentela ricorrente è per le gare delle 17.15 che finora sono state solo due e altre sei  ne seguiranno di qui alla fine della stagione. Per il resto gare sono alle 19.30 e 21.45. Si può fare. Esattamente come una competizione internazionale, Europei o Mondiali, dove addirittura si sarebbe giocato anche le 15 qualora fosse partito Euro 2020. E’ chiaro che agli allenatori certi orari non vanno per niente bene, solo perché sommati ad una preparazione precaria che amplifica una condizione ancora lontana.

Fatta la legge trovato l’inganno. Semplicemente perché le nuove normative prevedono ingressi separati delle squadre in campo, niente saluti prima del via, se non una gomito largo sotto gli occhi della terza arbitrale, ovviamente non punibile. E fin qui tutto bene, non fosse altro che poi in campo si fa l’esatto contrario. Giocatori che protestano in massa verso l’arbitro, altri che si baciano e abbracciano dopo un gol. La paura, o il rispetto delle norme, è durata appena il volgere di novanta minuti, i primi. Poi, si è tornati alla quasi normalità. Che ancora invece non usufruisce chi lavora nel settore, giornalisti e fotografi. Dopo una lunga battaglia avviata dalla Figc col supporto di Ussi e Ordine del Giornalisti, si è arrivati a 70 giornalisti e 30 fotografi, che sono tanti rispetto ai dieci iniziali. Ma non basta, perché l’informazione non può essere ghettizzata da norme antiquate. Per carità, la saluta prima di tutto, con mancherebbe altro, ma in una tribuna stampa da 300 posti, almeno 120 potrebbero entrare e tornare quasi alla normalità. Perché, tanto per fare un esempio, durante la finale di Coppa Italia tra Napoli e Juve, sono stati ammessi soltanto cinquanta giornali, in rigoroso distanziamento. Che non è stato applicato in campo, visti i soliti baci e abbracci, alla faccia di chi allo stadio ci va per lavorare.

Colpa dei tempi, ma miglioreranno, i numeri, strada facendo, di pari passo con la curva del contagio sempre più in picchiata. Poi, c’è l’aspetto tifosi. Una partita di calcio senza tifosi, non è tale. E’ un calcio surreale, dove al posto dei cori delle curve, senti soltanto le sfuriate degli allenatori, il calcio al pallone che sembra quasi il rumore di un frontale sull’Aurelia. La Uefa vuole portare i tifosi allo stadio per la finale di Champions a Lisbona in misura di almeno un 35-40%. E niente di più facile che qualcosa possa muoversi anche in Italia magari per le ultime giornate. Riaprire al pubblico, col giusto distanziamento, non è la fine del mondo. In fondo, in spiaggia si pensava al plexiglass per distanziare le persone, quando in realtà soprattutto sabato e domenica, le spiagge sono un carnaio come lo scorso anno. E ovunque, non c’è distanziamento. Sugli aerei si è ripartiti come se niente fosse, aeromobili pieni e sena distanziamento. Due pesi e due misure. Aprire le porte degli stadi sarebbe un bel segnale. Speriamo venga accolto.

In testa c’è sempre la Juve che ha portato a +4 il vantaggio sulla Lazio, complice la sconfitta dei biancocelesti nel turno precedente, a Bergamo. Dietro l’Inter è a 8 punti dalla vetta e l’Atalanta corre veloce nonostante un ritardo di 12 punti. Ha battuto anche il Napoli per 2-0 con la forza dei nervi distesi di chi sa di giocar bene, convinta fortemente nei propri mezzi. Quella bergamasca è l’unica squadra ad essere ripartita come se niente fosse. Qualità di gioco, velocità, può chiudere alla grande questa stagione, confermandosi in Champions (+ 12 sulla Roma) e magari provare il colpo in Champions nella final eight di Lisbona. La Roma è in caduta verticale. Dzeko l’aveva tenuta a galla contro la Samp, poi le cadute di San Siro col Milan e all’Olimpico con l’Udinese, hanno acuito malesseri che partono da lontano. E’ la settima sconfitta in dodici partite da che è iniziato l’anno solare. A dicembre, dopo il successo di Firenze, era al quarto posto a soli quattro punti dalla Lazio che adesso ne ha venti di più.  Le voci di un cambio di proprietà, la possibilità che molti gioielli possano prendere il volo, sicuramente ha inciso, ma il 2-0 interno con l’Udinese rappresenta il punto più basso di una stagione da dimenticare. E adesso i giallorossi, ancora quinti, debbono guardarsi bene dal ritorno del Napoli staccato di soli tre punti (domenica al San Paolo c’è Napoli-Roma), ma anche di Milan e Verona che non sono poi così distanti.