Il coraggio di Francesco

Purtroppo, anche in circostanze delicate e di grande valore, il vizio italiano – e non solo – di costruire immediatamente schieramenti opposti con tifoserie irriducibili (proprio come nel calcio: Juve contro Milan) si è riproposto nella questione del “dossier” di Mons. Viganò, ex Nunzio Apostolico in Usa.

Credo che il “buon” cristiano, come mi insegnavano i miei genitori da bambino, e come mi hanno educato molti anni di Cammino neocatecumenale, oggi debba trarre esempio dalle parole stesse del Santo Padre, che vanno anteposte a qualsiasi altra considerazione.

Ogni riga della “Lettera al Popolo di Dio” va letta con amore e timore: amore per il coraggio e la forza con cui il Papa denuncia il male; timore perché la sofferenza inflitta agli innocenti grida “vendetta” al cospetto di Dio. “Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite”. Segue la citazione del commento dell'allora card. Ratzinger alla IX stazione della Via Crucis, il Venerdì Santo del 2005: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa … quanta superbia, quanta autosufficienza … Signore salvaci”.

Dunque, partiamo proprio da qui: la lucida condanna dell’orrore della pedofilia/pederastia/pornografia e di ogni disordine sessuale, praticata da chiunque e a maggior ragione da persona consacrata a servire il Vangelo e la Verità rivelata, accompagnata da una rinnovata azione, dentro e fuori la Chiesa, che ponga in atto ogni misura preventiva culturale, pastorale e sociale perché si taglino le radici stesse di quegli atti orribili.

Credo la Provvidenza stessa ci doni oggi una grande opportunità per individuare quella radice velenosa e reciderla, perché succede spesso proprio così: in mezzo alle tenebre più pesanti, compare il fulgore di una luce, magari dimenticata, che ravviva la speranza. Fra poche settimane, Papa Francesco dichiarerà Paolo VI santo. L’autore della Humanae Vitae – cui lo Spirito Santo diede il dono profetico di intuire che frammentando il “senso” profondo di ogni atto sessuale, valore unitivo e procreativo, si apriva la strada ad ogni abuso e perversione (come, purtroppo sta accadendo) e che ebbe il coraggio di proporre castità e continenza come valori propri della dignità umana, ben sapendo che “dobbiamo ubbidire a Dio, piuttosto che agli uomini” – verrà proposto al culto della Chiesa universale.

C’è da rabbrividire quando l’argomentazione della necessità di rinnovamento trova giustificazione nella necessità di adeguarsi all’evolversi dei costumi, come se non esistessero dei confini invalicabili, definiti dalla retta ragione che indaga la verità. La sessualità a servizio della vita non è uno slogan anacronistico ed irrazionale, e proprio Paolo VI la propose come frutto della ragione e della natura. La sessualità a servizio del piacere soggettivo e slegata dalla procreazione ha in sé un germe di morte. Non si tratta di essere conservatori di destra o liberal di sinistra; almeno per noi cristiani, si tratta di scegliere la verità che fa liberi.

Il Santo Padre Francesco, successore di quel Pietro di Galilea cui il Signore stesso conferì il mandato di confermare nella fede tutti i fratelli, si è assunto la grande responsabilità della denuncia, della inequivocabile condanna, e della “ricostruzione”, spero non soltanto del mondo ecclesiale. Quando il veleno che il sesso è libero e ognuno ha il diritto di praticarlo come vuole si diffonde, non muore solo la Chiesa, ma l’intera società. Il veleno fa male a chiunque, ai prelati e ai preti, ai seminaristi e agli educatori, ai genitori ed ai figli, alle donne e agli uomini, ai credenti e ai non credenti.

E’ una missione certamente gravosa e difficile, che richiede l’intervento divino, che riguarda ogni cristiano e che esige la comunione con Pietro. “Cum Petro et sub Petrum”, con la santa determinazione di “tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo” (Evang. Gaudium, 11). In questa prospettiva, trovo che non vi sia nulla di più inaccettabile ed assurdo che chiedere le dimissioni del Papa. Pregando gli uni per gli altri, assumendosi ognuno la responsabilità ecclesiale, culturale, politica, educativa che gli compete, partendo dal dolore dei fatti, dalla denuncia, dal pentimento, dalla richiesta di perdono, si deve passare alla “riparazione” perché quel male si fermi e non mieta altre vittime. La conversione del cuore è certamente “conditio sine qua non”, ma rischia di rimanere sterile se non è seguita dalla “conversione delle opere”, aprendo il passaggio dalla “cultura della morte” (tante volte denunciata da Papa Francesco) alla cultura della vita, che Paolo VI ebbe tanto a cuore. Speriamo che giunga fino al Pontefice il nostro appello: “Coraggio Papa Francesco. Conta su di noi!