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Cosa insegna la legge dell'Alabama

Correva l'anno 1973 quando la Corte Suprema degli Stati Uniti con la storica sentenza Roe vs Wade legalizzava l’aborto. Da allora nel bipolarismo politico americano i vari presidenti hanno avuto un approccio opposto alle pratiche abortive a seconda se fossero democratici (favorevoli) o repubblicani (contrari). Se Barack Obama infatti aveva inaugurato il suo primo mandato sbloccando i fondi alle organizzazioni internazionali favorevoli all’aborto, Donald Trump ha bloccato poco dopo il suo insediamento i fondi per le Ong che praticano aborti all’estero o forniscono informazioni a riguardo.

La recente legge dell’Alabama che di fatto vieta qualsiasi tipo di aborto tranne che per rischio “serio” per la vita della futura mamma, ha fatto riesplodere in questi giorni la polemica mai sopita tra i favorevoli alle Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) e i pro-life. L’aborto è sempre comunque un dramma per chi lo vive e che rimane per tutti una sconfitta: per la mamma che non è riuscita – per le più svariate ragioni – a salvare il suo bambino, per il medico che contro la sua vocazione anziché dare si trova a dover interrompere una vita, e per la società tutta che non è stata in grado di fornire a quella mamma gli strumenti necessari e la possibilità di portare a termine la sua gravidanza. Ciò detto, crediamo che alcune riflessioni debbano essere fatte. Questa provvedimento legislativo varato nello Stato dell’Alabama, rappresenta certamente una legge molto restrittiva sia nei confronti delle grandi problematiche etiche che necessariamente si verificano nei casi relativi a stupri ed incesti sia nei confronti dei sanitari che praticano l’aborto con pene detentive che vanno dai 10 ai 99 anni.

Le domande e le riflessioni sull’annoso problema dell’Ivg sono ancor oggi molteplici anche nel nostro Paese e non possono prescindere da ciò che è la vita: se cioè sia un valore comune a tutti o rappresenti solo un valore dei cattolici. Siamo fortemente convinti che la vita rappresenti il primo valore di una società che voglia definirsi civile e che tale valore sia comune ad ogni razza, confessione religiosa o visione ateista della storia dell’uomo. Non è scritto nella nostra Costituzione che il diversamente abile debba esser eliminato. Certamente lungi dal formulare qualsiasi tipo di giudizio verso chi per scelta o per qualsivoglia ragione si trovi nella condizione di doversi sottoporre ad un aborto, va però certamente sottolineato che in questi casi ci si trova a parlare sempre e soltanto del diritto ad abortire, ignorando altresì totalmente il diritto alla vita del ”bambino”, il quale non può difendersi. Ecco perché è necessario educare, soprattutto le nuove generazioni, ad assaporare il gusto alla vita che comporta il rispetto di se, del proprio corpo, della procreazione responsabile, che non può e non deve intendere l’aborto come metodo anticoncezionale, ma deve abituarsi ad amare il prossimo e quindi l’altro come se fosse parte di se stesso. Solo così crediamo che l’avvenire di questa società possa essere migliore, guardando con speranza al futuro ed educando i nostri giovani a contrastare, anziché favorire la denatalità che rappresenta oggi la mancanza di speranza in un domani migliore.

Stefano Ojetti

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