Come evitare una manovra “lacrime e sangue”

Fare un’analisi di scenario non è mai facile, esistono mille variabili da tener conto e sicuramente tante informazioni che, anche al migliore analista, possono sfuggire per via di quell’asimmetria informativa tra operatori che caratterizza la realtà.

Una cosa, però è certa, che una correzione di rotta, dopo la legge di bilancio dello scorso anno, sarà praticamente obbligatoria se si volesse sterilizzare l’aumento dell’iva, previsto dalle clausole di salvaguardia, ed evitare l’appesantimento dello stock di debito che affligge i conti pubblici italiani.

Non guardiamo ai complottismi post voto europeo che sin sprecano in questi giorni, soprattutto sui social network; la “lettera” spedita dall’Ue era già preannunciata da tempo, ben prima dell’affermazione della Lega di Matteo Salvini nell’ultima tornata elettorale e si basa sull’andamento della finanza pubblica in rapporto alla crescita, strutturalmente asfittica, del Paese.

Le cause di quest’ultima sono ben note ai più e si possono ricercare nella spesa eccessiva e improduttiva dello Stato supportata non solo da una crescita del deficit ma anche da un sistema fiscale assai pesante ed ingordo; basti pensare che la previsione relativa alla pressione fiscale di quest’anno sarà del 42.3% sul Pil, in vero di 1.3 punti percentuali inferiore rispetto a quella registrata sotto il governo Monti ma di 11 punti percentuale in più rispetto a quella dei primi anni ’80.

Il mancato raggiungimento dei livelli di crescita previsti prima nel Def e, poi, nella Legge di Bilancio dello scorso anno portano alla spiacevole situazione di dover reperire le risorse mancanti già contabilizzate a copertura delle previsioni di spesa. E qui si focalizza l’attenzione dell’Ue che porterà a una manovra d’autunno credibilmente a “lacrime e sangue” perché è improbabile che M5S o Lega vogliano fare un passo indietro dalle manovre “bandiera” e altamente dispendiose come il Reddito di Cittadinanza (o almeno la versione messa a terra in questi mesi) e Quota 100 a livello previdenziale.

Il Sole 24 Ore indica in 30/35 miliardi di euro l’ammontare delle maggiori entrate/minori uscite che saranno necessarie per stabilizzare i conti. Alla base ci sarebbe la necessità di reperire i 23mld per sterilizzare le clausole di salvaguardia ed evitare l’aumento dell’Iva, che sarebbe un intervento automatico tampone per ovviare a una necessità momentanea senza garanzia di successo trattandosi di una manovra fortemente recessiva che spingerebbe sul c.d. effetto sostituzione, prima ancora che sull’effetto reddito, andando ulteriormente a deprimere consumi ed investimenti e, di conseguenza, a porre un macigno sulla già quasi inconsistente ripresa.

Inoltre ci sarebbe la necessità di rifinanziare Reddito di Cittadinanza e Quota 100, per circa 16mld, nonché di reperire le risorse per la ventilata flat tax (che poi sarebbe una mera rimodulazione della progressività delle aliquote ma sorvoliamo…). Il governo ipotizza di poter reperire questi fondi sia dalla consueta “lotta all’evasione e all’elusione” – che, se si permettesse un gioco di parole, resta l’illusione con cui si giustifica il mantenimento dello status quo fiscale – sia da una rimodulazione degli sconti di imposta andando a tagliare deduzioni e detrazioni, partendo dal taglio dei famosi “80 euro”, cosa che si tradurrebbe, di fatto, in un aumento di imposte soprattutto per le persone fisiche.

Campeggia anche con questo esecutivo, poi, la parola spending review che, però – come si mostrò sia sotto Monti e sia sotto i successori Letta, Renzi, Gentiloni – è più una chimera buona per effetto annuncio che un’opzione reale, poiché si scontrerebbe contro gli interessi di grandi bacini elettorali; brutto dirlo ma questo è il punto focale contro cui si scontrano tutte le maggioranza di governo.

La cosa interessante è che, come indicano da anni molti economisti, ci sarebbero circa 40,6mld di spesa che potrebbero essere aggrediti immediatamente, almeno per la metà dell’ammontare, e che rappresentano i trasferimenti alle imprese che, spesso, vanno a sovvenzionare aziende partecipate dal pubblico che, senza di questi, perderebbero di competitività.

Tagliando gradualmente questi trasferimenti, fino ad azzerarli in un quadriennio, si permetterebbe, a parità di entrate, di avere uno spazio di manovra assai ampio, sia per aumentare l’avanzo primario e ridurre il debito pregresso – un vero ostacolo alla crescita del sistema Paese – sia per ridurre le imposte, partendo da energia e lavoro, che, ugualmente, sono uno dei maggiori ostacoli alla competitività italiana.

Quello che è difficile da comprendere, però, è perché si continuino a denunciare le iniquità del passato senza mettere mano a soluzioni che da più parti si caldeggiano, come la rimodulazione degli ammortizzatori sociali, con l’abolizione della costosa e inutile, almeno dal lato della tutela dei lavoratori, Cassa Integrazione Guadagni e l’estensione del Naspi associata a vere politiche attive per l’impiego. Ci sarebbero poi la modifica delle clausole di salvaguardia, l'inasprimento fiscale automatico a taglio, ugualmente automatico, delle spese accessorie – sul modello del fiscal cliff americano – e il riordino della politica energetica per eliminare i sussidi inutili e alleggerire le bollette, eccetera.

Se si volesse seguire una via pragmatica, di opzioni efficienti e auspicabili ce ne sarebbero diverse, quasi tutte già ampiamente analizzate, ma il tutto si scontra con la narrazione immaginifica che è stata fatta in questi anni tra le due forze di governo e che, al momento, rappresenta la loro vera forza a livello politico e la vera debolezza di tutto il sistema Italia.