Alitalia, il nodo irrisolto dell'economia italiana

Quella di Alitalia, ormai, più che una vicenda industriale sembra sempre più un romanzo a puntate, tipico delle appendici delle riviste di inizio secolo scorso, poiché la compagnia di bandiera accumula perdite da oltre un decennio senza riuscire a risollevarsi nonostante i periodici “salvataggi” da parte dei governi che si sono succeduti in questi anni.

Il prestito “ponte” a sei mesi che dovrebbe arrivare a breve nelle casse dell’azienda sarà solo un tampone momentaneo allo stato di crisi di una compagnia aerea che perde oltre 700'000 euro al giorno.

Ma da dove deriva questa situazione?

Tempo fa Andrea Giuricin, docente di economia dei trasporti all’Università Milano Bicocca, aveva ripercorso, in un suo intervento su ilsussidiario.net, la storia degli ultimi anni di Alitalia individuando la causa principale del dissesto in oltre due decenni di scelte strategiche sbagliate, prima di tutto sulla focalizzazione delle rotte principali.

Fino agli anni ’80 la compagnia non aveva reali competitor e gestiva le rotte in regime quasi di monopolio, tanto che, spesso, dal nord Italia per poter trovare vettori differenti o altre mete con volo diretto, molti viaggiatori sceglievano di partire da Zurigo (Malpensa, ad esempio, era ancora a venire come struttura).

Passando il tempo e modificatosi il mercato, con l’avvento degli operatori low cost sulle tratte principali coperte, Alitalia non ha saputo evolversi, né sui servizi né sull’efficienza interna.

Quest’ultimo è il punto principale visto che l’80% del traffico è ancora concentrato sul breve e medio raggio e, per poter pensare di competere con i principali concorrenti, l’azienda dovrebbe diventare più efficiente di questi, cosa che sembrerebbe una missione impossibile se confrontata con Ryanair che registra costi al chilometro quasi dimezzati rispetto alla compagnia italiana; non parliamo dei ricavi, poi, che, spesso, risultano essere anche del 30% inferiori, per volo, rispetto alle compagnie low cost per via del numero di passeggeri e della grandezza degli aerei, il tutto nonostante i prezzi dei biglietti più elevati.

Anche parlando di tratte internazionali, poi, la situazione non cambia sia per il numero limitato di destinazioni, prevalentemente concentrate nel nord America, che per la scarsità dei voli si scontra sia con un’offerta molto più ampia anche di vettori più piccoli sia con una proposta a livello di prezzi, spesso, decisamente inferiore.

Oggi, infatti, si scontano anni e anni di decisioni industriali errate e penalizzanti, si tratta di una situazione che difficilmente possa prevedere una via di uscita perché modificare le strategie aziendali e acquisire nuove tratte, magari anche ad alto potenziale di redditività, non è una cosa semplice ed attuabile in poco tempo, sia per la concorrenza esistente che rende difficile conquistare quote di mercato sia per una questione di riorganizzazione interna ed adattamento dei veicoli alle nuove tratte che, ovviamente, sarebbero tutto a lungo raggio, dovendo scontrarsi sul corto sia con le già citate compagnie low cost sia con l’offerta ad alta velocità delle ferrovie che, tra l’altro, compete non solo a livello di prezzo ma anche e soprattutto a livello di comodità, potendo portare i passeggeri direttamente dal centro di una città al centro di quella di destinazione in tempi complessivi paragonabili se non inferiori rispetto a un aereo.

Da quanto tracciato finora è evidente che lo scenario sia estremamente deteriorato, al di là delle polemiche sull’Alitalia “carrozzone” usata come “ammortizzatore sociale” il problema vero e strutturale sta a livello aziendale e a un core business che non può garantire la redditività necessaria alla sopravvivenza dell’azienda.

Se si volesse dare uno sguardo ai numeri, stando all’ultima semestrale, riguardante il Q3 2019m stando a quanto riporta il Sole 24 Ore il passivo di Alitalia risulta ancora in forte crescita; a settembre 2019 il margine operativo lordo (MOL) risulta negativo di 114 milioni di euro a fronte di un valore per tutta la gestione 2018 pari a -120 milioni di euro.

Un quadro completo delle perdite, però, sarà possibile stilarlo solo con la pubblicazione dei risultati dell’ultimo trimestre che, comunque, non lasciano presagire nulla di buono: il Q4 2018 ha registrato un MOL pari a -84 milioni di euro che, proiettato sullo stesso periodo del prossimo anno fa ipotizzare una perdita complessiva di circa 200 milioni di euro. Per evitare il fallimento ovvero un “accanimento terapeutico” con continue immissioni di capitale pubblico che, ricordo, non sono fondi di stato, che non esistono, ma fondi prelevati dai redditi di cittadini e imprese, le uniche strade percorribili sono la cessione sul mercato o la creazione di una Newco a cui conferire le attività.

Il primo caso è difficilmente percorribile poiché non vi sono acquirenti in vista, Lufthansa sarebbe interessata al più ad un accordo commerciale e Delta si è detta disponibile a sottoscrivere il 10% del capitale (quota insufficiente al salvataggio, ovviamente); il secondo caso, invece, garantirebbe una possibilità di successo maggiore, che permetterebbe di conferire le attività dell’attuale compagnia di bandiera a una società sana che, poi, potrebbe essere ceduta sul mercato andando a ripianare le passività della vecchia azienda diventata una c.d. bad company come già si fece per Blue Panorama.

In definitiva Alitalia è e resta uno dei nodi irrisolti dell’economia italiana, con troppi interessi in gioco per farla fallire ma che è costata miliardi ai contribuenti per mantenere in vita un’azienda decotta e difficilmente rilanciabile, una soluzione definitiva va trovata ma perché sia percorribile occorre non solo un piano credibile ed efficiente ma anche e soprattutto la volontà e la forza di portarlo a termine e solo i prossimi mesi ci diranno come e se si concluderà questa costosa soap opera.