Ecuador, i giorni degli scontri

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Mi unisco al dolore per i morti, i feriti e i dispersi. Vi incoraggio a cercare la pace sociale“. Da piazza San Pietro si leva la preghiera di Papa Francesco per l'Ecuador, il Paese dell'America Latina che da circa due settimane è stretto nella morsa della guerriglia tra i manifestanti che protestano contro l'austerity imposta dal presidente Lenín Moreno e le forze dell'ordine leali al governo. Dopo una dura repressione costata la vita ad almeno sette manifestanti ed oltre 2.000 feriti, ieri sera la popolazione si riversata nelle strade battendo pentole e stoviglie per chiedere che cessi la stretta imposta dal governo. Oggi a Quito è previsto un primo incontro tra il presidente del Paese e la Confederazione delle Nazionalità indigene dell'Ecuador (Conaie), l'organismo che unisce le etnie indigene, critiche verso le misure inflitte da Moreno alla popolazione. Intanto, anche i vescovi della Chiesa cattolica nel Paese chiedono un'apertura al dialogo. La giornata di ieri si è chiusa con un messaggio televisivo di Moreno che ringraziava i capi indigeni per la loro disponibilità al dialogo, mostrando a sua volta apertura a un confronto diretto.

Coprifuoco e repressioni violente

Intanto nella capitale Quito vige il coprifuoco dalle 15 di ieri pomeriggio: si tratta di una disposizione voluta dal presidente Moreno per contenere i danni provocati dai vandali nei giorni scorsi. La misura, entrata in vigore con il decreto 893, secondo il quotidiano nazionale La Hora non ha una scadenza predefinita e servirà per ripristinare l'ordine e la sicurezza nella città: ieri, durante le proteste, i manifestanti hanno saccheggiato e dato alle fiamme l'edificio che ospita l'ufficio del revisore generale e la sede dell'emittente locale Teleamazonas. La mappa della città in questi giorni è un reticolo di barricate utilizzate dai manifestanti per difendersi dai colpi degli agenti di sicurezza. Protestare per le strade è diventato molto pericoloso: Amnesty International denuncia la violenta repressione delle forze di polizia, come mostrato in cinque video amatoriali accorpati in un tweet:

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Nonostante gli inviti alla calma lanciati dalla Conaie, la polizia ha risposto con una pioggia di proiettili di gomma e il lancio di lacrimogeni contro la popolazione che marciava. Gli indigeni chiedono che il governo cessi questa violenta repressione e avanzano nuove soluzioni di contrasto all'austerity che, invece, Moreno vorrebbe continuare ad applicare. Il capo del movimento, l'indigeno Leonidas Iza, chiede a gran voce che il governo scenda seriamente a patti con il popolo. Per la Conaie, le recenti proposte del governo sono illegittime perché soffocano la popolazione ecuadoriana; per questo chiede come condizioni imprescindibili le dimissioni della ministra dell'Interno, Maria Paula Romo, e del ministro della Difesa, Oswaldo Jarrín: sino a quel momento, la mobilitazione generale non cesserà.

Le risposte a una paura

Si attende ora una risposta dal presidente Moreno alle proposte avanzate dal Conaie: come ricorda Il manifesto, l'organismo indigeno ha costretto alle dimissioni ben tre presidenti del Paese – Abdalá Bucaram, Jamil Mahuad e Lucio Gutiérrez, ndr. Il capo del Paese sembra intenzionato ad usare la forza per scongiurare quelli che ha definito “atti che minano la democrazia”, anche se risulta chiaro che il pugno di ferro celi il timore che fra gli indigeni si levi la voce dell'ex presidente Rafael Correa, oppositore di Moreno. La Conaie ha, tuttavia, voluto ribadire la totale estranetià a qualunque forma di correismo: “La nostra lotta è per cacciare dall'Ecuador il Fondo Monetario Internazionale” hanno detto i principali portavoce indigeni riuniti nelle assemblee, rifiutando al contempo la strumentalizzazione della protesta che il governo sta facendo