Chi sono i Santi canonizzati oggi da Papa Francesco

Quattro donne e un uomo: sono i nuovi santi della Chiesa cattolica che Papa Francesco ha canonizzato nella celebrazione eucaristica del 13 ottobre, definendoli “luci gentili nel buio del mondo“. Cinque volti di una Chiesa che restituisce l'immagine che al Papa delle periferie piace di più: quella del poliedro. Questo modello ecclesiologico a più facce, non uniforme, indica la stretta correlazione tra le dimensioni globale e locale della Chiesa universale; come il Pontefice scrive nell'Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: “Non è un'unità qualsiasi. Non è un’uniformità […]. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parti che in esso mantengono la loro originalità e questi sono i carismi, nell’unità ma nella propria diversità. Unità nella diversità“. Le effigi dei nuovi Santi esposte sulla facciata della Basilica di San Pietro esprimono proprio questa varietà nell'unica missione, sin dal punto di vista delle origini: Brasile, India, Inghilterra, Italia e Svizzera sono i luoghi natii da cui provengono i cinque: la Parola – testimoniano – viene per tutti e, cosa essenziale, trova fecondità in tutto il mondo. 


Il servizio di Vatican News sulla canonizzazione del 13 ottobre 2019 – Video © Vatican News

La suora indiana della famiglia

È santa suor Mariam Thresa Mankiidyan, fondatrice della Congregazione della Sacra Famiglia di Thissur, in India. Thresa nasce nel 1876 nello stato del Kerala, in un Paese in fermento: la sua famiglia, infatti, apparteneva a una nobiltà in decadenza di formazione cattolica, spettatrice dei rivolgimenti sociali del Subcontinente alla vigilia del primo conflitto mondiale. Il carattere aristocratico della famiglia non cella nella giovane Thresa la distanza paradossale fra la civiltà ricca dell'India e i sobborghi pullulanti di gente in miseria. Per questo, consacratasi al Signore da laica, decide di dedicarsi ai poveri. Come ricordava Papa Giovanni Paolo II nell'omelia di beatificazione della suora indiana, pronunciata nell'Anno Santo del 2000, l'esempio di suor Thresa è di coloro che “hanno annunciato Cristo con la parola e l'hanno testimoniato con l'incessante servizio ai fratelli“. Non ancora consacrata in un ordine religioso, Thresa porta nel suo nome il desiderio di seguire il Cristo sull'esempio di santa Teresa d'Avila: come lei, sarà una mistica, portando sul corpo i segni della sofferenza del Salvatore. Ma accanto al suo modello di santità, Thresa affianca anche il nome Mariam: richiamo alla Vergine Maria, che lei aveva scelto come “madre” dopo la morte della sua madre naturale, quando aveva solo dodici anni. La scelta mariana di Thresa sarà, in seguito, approvata anche dal suo vescovo nel 1904. Il cammino verso la consacrazione totale a Gesù la porta a bussare alle porte di diversi ordini religiosi: le Francescane Clarisse, le Carmelitane scalze di Ollur, famiglie religiose che, però, non rispecchiano il suo rapporto personale con Cristo. Nel 1913, dunque, ottiene il permesso di trasferirsi con le sue amiche in una piccola dimora: è la Casa della solitudine, il nucleo embrionale di quella che sarà la Congregazione della Sacra Famiglia, fondata nel 1914 mutuando le Costituzioni della Sacra Famiglia di Bordeaux. Da allora fino al 1926, anno della sua morte, l'attività di madre Mariam Thresa è tutta incentrata sull'assistenza ai poveri e si definisce gradualmente carisma della Congregazione: l'apostolato della famiglia. L'8 giugno 1926 madre Thresa muore lasciando la sua eredità spirituale a un nucleo di consorelle sempre più numeroso, mentre in giardino fioriscono prodigiosamente i fiori di gelsomino.

La madre dei malati

È quella della carità vissuta la via scelta da Santa Giuseppina Vannini, la prima santa romana dopo oltre 400 anni – l'ultima ad essere canonizzata fu Santa Francesca Romana. Il suo nome di battesimo era Giuditta, come l'eroina biblica, quasi a sottolineare l'eroismo che caratterizza tutta la sua vita, lei orfana di entrambi i genitori sin dalla tenera età. Vive fra Roma e Napoli, mentre cerca di trovare una via che sia in consonanza con la volontà di consacrarsi a Cristo. Come santa Mariam Thresa Mankidiyan, anche per Giuseppina il cammino della consacrazione è tortuoso. Maestra d'asilo, durante gli esercizi spirituali condotti dal padre camilliano Luigi Tezza comprende la sua vocazione per i malati. È allora che scruta il disegno divino sulla sua vita e risponde il suo “sì”. “La carità della Vannini è fatta di gesti e di silenzi” ha detto la postulatrice della causa, suor Maria Bernadette Rossoni: per ben due volte, papa Leone XIII rifiuta di approvare il nuovo istituto delle Figlie di San Camillo, che la neo-santa fonda con padre Tezza. Anzi, il Pontefice ordina alla nuova famiglia di allontanarsi da Roma e trasformarsi in “pia associazione”. Un'amarezza per le sempre più numerose Figlie di San Camillo, che non distolgono Giuseppina dall'assistere i poveri e i malati. Per lei, carità vissuta vuol dire assistenza materna ai malati: “In tanti momenti, quando la cura non basta più, bisogna far sentire all'infernmo la propria presenza” ha ricordato suor Maria Bernadette Rossoni, postulatrice della sua causa. Nella sua docilità filiale alla Chiesa, suor Giuseppina assiste i bisognosi con la stessa attenzione di una madre: la stessa vicinanza sperimentata lo scorso anno dall'operaio Arno Celso Klauck che, cadendo accidentalmente nel vano di un'ascenore in costruzione, invocò la suora e ne uscì illeso. Alla commissione l'operaio, che lavorava nella regione del Mato Grosso in Brasile, riportò di aver invocato suor Giuseppina con la preghiera “Madre mia, aiutami“. In occasione della sua beatificazione, avvenuta nel 1994 per opera di papa Giovanni Paolo II, il pontefice ricordò come “essere tutta di Dio, amato ed onorato in chi è nel bisogno, fu la sua costante preoccupazione, tradotta in una carità quotidiana senza confini accanto agli infermi”. 

Il cardinale che mette il Vangelo in azione

“Il cuore parla al cuore” è il motto che il santo cardinale Henry Newmann sceglie quando riceve la porpora cardinalizia nel 1879. Una vita tutta protesa alla ricerca della Verità, quella di Newman, il primo santo del Regno Unito dopo oltre quarant'anni. L'intera vita di Newman è sempre stata modellata sulla ricerca della santità, che non è una speculazione astratta, ma si cala nella concretezza dell'esistenza. Prete anglicano, dopo anni di riflessione e preghiera, il 24 settembre 1843 si spoglia dei suoi paramenti sacerdotali e, dopo due anni di studi teologici, abbraccia la Chiesa cattolica. Il Newman la ricerca della verità non è mai uno scontro. Quando abbandona la Chiesa anglicana – come citato poc'anzi – lo fa in lacrime, con un'omelia intitolata The Parting of Friends. Ritorna nella sua Inghilterra, che lo aveva visto a capo dei gruppi di studio biblici in passato, tutto dedito all'evangelizzazione attraverso la Parola di Dio. Non sono poche le prove che deve sostenere nel suo cammino, ma questo non gli impedisce di camminare sulla via della santità nel quotidiano, sul modello del suo santo ispiratore, San Filippo Neri. Come ha ricordato Papa Francesco nell'omelia della Messa che lo ha proclamato santo: “Il santo Cardinale Newman disse: 'Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. […] Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, […] il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria'”. La sfida di camminare sulla via della santità spinge il cardinale a dedicarsi, pur con grandi difficoltà, al dialogo, avviando un dibattito fra cattolici e non cristiani: la sua tendenza a parlare in profondità al cuore di tutti si condensa nelle sue Lettere, inviati ad amici intellettuali e non solo, e nelle Poesie: in alcuni versi si percepisce con grande attenzione, l'ostinazione cattolica di voler abbracciare tutti gli uomini, perché figli di Dio.

La “Madre Teresa” del Brasile

Perde entrambi i genitori, ma si fa madre degli orfani della società brasiliana, Santa Dulce Lopes Ponte de Souza Brito, chiamata per questo “la Madre Teresa del Brasile”. In lei, la carità prende la forma del servizio totale ai poveri, che tocca con mano già dall'età di 18 anni, quando con la zia affidataria visita una delle zone più povere della sua città natia, Salvador de Bahia. Per Maria Rita – questo il suo nome di Battesimo – la carità non è qualcosa di spettacolare: il suo modello è la piccola via di Santa Teresa del Bambin Gesù, tant'è che la sua missione è compiere “piccolti atti d'amore”. Entra nella Congregazione delle Suore Missionarie dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio mentre prende sempre più corpo in lei il servizio totale a Cristo sposo, che ritrova subito nei volti dei poveri della favela di Alagados. Prega e coltiva l'impegno sociale della Chiesa: fonda, infatti, l'Unione dei lavoratori di San Francesco con lo scopo di istruire gli operai. Si rivolge, dunque, ai malati e alla loro riabilitazione. Dopo tentativi, presto soffocati, di creare strutture di ricovero in loco, nel 1949 ottiene dalla madre superiora di poter utilizzare il grande pollaio annesso al convento come ospedale da campo. Oggi colà sorge l'ospedale di San Antonio, struttura all'avanguardia nelle terapie oncologiche. Nel 1990 la sua salute peggiora. Un anno dopo, durante il suo viaggio apostolico in Brasile, papa Giovanni Paolo II le fa visita a São Salvador. Di lei, disse: “Questa è la sofferenza dell’innocente. Uguale a quella di Gesù“.

La santa della porta accanto

Santa Margherita Bays è l'unica laica dei santi canonizzati da Papa Francesco il 13 ottobre. Nonostante questo, in lei la santità si fa servizio quotidiano. Sarta a domicilio, affianca all'atti vità pratica quella contemplativa, sul modello di Marta e Maria. Viene invitata spesso dai suoi padri spirituali a prendere i voti, ma sente che non è la sua strada, lei che si unisce ai terziari francescani. Seconda di sette figli, all'apparenza la sua vita, condotta nel pieno Ottocento in un ridente paese del cantone svizzero di Friburgo, non ha niente di “miracoloso”. Ma letta alla luce del Vangelo, la sua vita appare, al contrario, santa nelle piccole azioni. Non le mancano le prove. Dapprima le angherie di sua cognata, poi il cancro all'intestino, dal quale guardisce miracolosamente dopo aver fatto un voto a Dio di poter vivere su di sè il peso delle sofferenze di Cristo. Riceve le stimmate ed ha visioni mistiche, mentre interpreta la sua guarigione alla luce dell'intercessione della Vergine Maria: dopo un intervento invasivo, infatti, il suo cancro svanisce l'8 dicembre 1854, mentre papa Pio IX proclama il dogma dell'Immacolata Concezione. Nel silenzio contemplativo, vive gli anni successivi al servizio della famiglia e dei poveri che incontra, non mancando di lorare il Signore nella recita del Rosario e nell'adorazione dell'Eucaristia.