Sospeso tra il grido del “tutto è compiuto” (Gv 19,30) del Venerdì Santo e quello dell’“è risorto!” (Mc 16,6) della Domenica di Pasqua, il Sabato Santo è il giorno del “grande silenzio”, come lo definisce un’antica omelia anonima. E il silenzio, si sa, può essere di varia natura: pieno o vuoto, riflessivo o dispersivo, concentrato o confuso. La differenza la fa la Vita. Quale vita? Come si può parlare di vita dinanzi ad un cadavere? Non c’è soluzione. Eppure una vita c’è. Ed è quella accudita oltre l’ultimo respiro. Si chiama “attesa” nel senso etimologico del termine: tendere a, prendersi cura di, accompagnare. Nonostante tutto. È così che i discepoli e le donne che seguirono Gesù fino alla sua crocifissione e ne videro la morte, riempirono diversamente il silenzio di quel sabato: gli uni, disperati e in fuga, le altre “in attesa”. Queste lo hanno seppellito prima del sabato, gli hanno spalmato unguenti per rallentare il processo di decomposizione e nel giorno di sabato si preparano a tornare al sepolcro, il primo giorno dopo il sabato, per quello che le aspetta. Questa è la natura del silenzio che riempie il sabato delle pie donne.
Non un “fare” fine a se stesso o slegato dalla realtà ma un “fare” di cura e di fede che, poi, sono la stessa cosa. Una cura che nasce nella natura del loro ventre che sa cosa vuol dire portare una vita e attenderla per nove mesi. Ma sa anche cosa vuol dire “morire” per portare frutto: il loro dischiudersi è dolore che genera vita. E Dio che la natura l’ha creata, in questo giorno, affida il sibilo della Sua Vita proprio al loro “silenzio affidabile” perché pieno di cura. La differenza dai discepoli è questa. E questo è l’annuncio del Sabato Santo: Dio si affida a chi si fida. Non perché ne ha bisogno ma per comunicare e donare la Sua essenza più profonda: la Vita. Quella intatta anche oltre la morte. Non una favola ma una salvezza vera e reale: si muore eccome, realmente e con tutte le sofferenze del caso, ma si risorge altrettanto realmente, per intervento del Padre a cui la vita è affidata. È l’unica buona notizia in mezzo al “naufragare” continuo delle cose umane. Ma è la notizia più importante. La vita c’è, nonostante tutto. Ed è lei che attende chi non fugge, chi non si gira dall’altra parte, chi non delega ad altri il proprio.
Dopo quel sabato è data ad una donna, Maria di Magdala, perché sono le donne che sanno dare la vita e sono loro che devono trasmettere agli uomini il messaggio che la vita è ricominciata. In quel giardino una donna che era in attesa, era in realtà la donna attesa… Lei che voleva in qualche modo ridare vita a quel corpo con i suoi profumi, rinasce a partire dal suo nome. Gesù la chiama: “Maria!”. Lei per prima viene a sapere la buona notizia fin dentro la sua identità più profonda, votata alla fede e alla cura. Lei la prima a dare la notizia, la buona notizia, perché lei è la prima, vigile e scattante, ad aspettarla per un intero, pieno, riflessivo, concentrato sabato d’attesa.
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