L’Italia dopo il Recovery: il grande match delle riforme

La sfida del Recovery Fund ha chiesto un enorme sforzo all’Europa, sia sul piano negoziale che economico. Un match vinto, che consegna ai Paesi membri uno strumento di sostegno che, però, dovrà necessariamente passare da appositi piani di riforma. Su quali programmi rappresentino più di altri un’urgenza per l’Italia, Interris.it ha chiesto il parere di Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta:

“Ora sta a noi. Le risorse ci sono e, in quest’anno, sono già in parte nostre. Se aggiungiamo quello che attendiamo dall’Europa, davvero diventa una sfida nei confronti di noi stessi. Se siamo capaci di progettare, programmare ed eseguire risolvendo i problemi di arretratezza, qualche affanno e declino che il Paese attraversa da almeno quindici anni, ben prima del Covid. Questo è compito e responsabilità in primo luogo della politica ma di tutta la società. Anche l’elaborazione delle idee, l’individuazione dei programmi, l’animazione della società e la costruzione dei progetti, è questione che riguarda l’intera società. Chiunque ha responsabilità: lavoro, cultura, università. Dobbiamo anche abituarci non a ripartire risorse ma a individuare problemi e soluzioni nelle quali collocare risorse: cos’è che ci serve e quanto occorre per risolvere le questioni.

Ce ne sono alcune che richiedono una programmazione abbastanza semplice, per quanto impegnative possano essere. Ad esempio la giustizia. Ci si può perdere nelle polemiche che un alto tasso ideologico: separazione delle carriere, funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura e così via. Sono problemi reali ma, accanto a questi, che sono terreno di scontro, il problema sostanziale è il funzionamento efficace e tempestivo, specie nei tempi, della giustizia civile. Questo si risolve con un’analisi organizzativa: come copriamo il numero di posti vacanti, elevatissimo, dei magistrati; come e con quali professionalità richieste gli apparati amministrativi serventi. Nell’ambito degli uffici giudiziari occorrono ormai professionalità diverse da quelle di un tempo: nel settore informatico, organizzativo, quasi con una managerialità interna. Come risolviamo il problema di debito pubblico della giustizia, quale intervento straordinario è possibile mettere in piedi e in quanto tempo. Si possono calcolare costi e risultati attesi, senza immaginare che modificare le regole del processo o toccare sommi problemi aiuti a risolvere la questione della durata dei procedimenti”.

Un tema, questo, che si trasferisce anche negli altri settori dell’impalcatura sociale: “Così anche per il funzionamento dell’amministrazione: come individuare le professionalità che servono. Per esempio, ricostituire e incrementare i corpi tecnici. Più ingegneri e meno generici. Come semplificare le procedure e non ogni singola procedura. Sul come formare e diffondere le conoscenze, anche qui meno generici e più tecnici, in linea con l’esigenza dell’impresa. Questo riguarda molti settori. Come progettare le infrastrutture e come interconnettere i diversi programmi.

Ad esempio, non si riesce a procedere tempestivamente agli sfratti nel caso di inquilini morosi, spesso perché non vi è una soluzione alternativa per lui. E’ possibile valutare il fabbisogno di edilizia sociale per venire incontro a questa esigenza? Ricordo il piano Fanfani per case, che ancora ci sono e di buona fattura edilizia. Un’edilizia che sia programmata e che, in una progettazione generale, veda interventi che siano ecosostenibili da un punto di vista dell’innovazione tecnologica. Con interventi che possono essere privati nelle imprese che li realizzano. Chi programma, chi stimola la progettazione, la committenza, però, può essere pubblica“.

Così anche nell’ambito scolastico: “La riorganizzazione riguarda anche le modalità di verifica e di valutazione della qualità della formazione e dell’insegnamento. Basta pensare alle valutazioni che vengono date in sede di esame di Maturità e gli esiti delle valutazioni che l’Ocse dà al grado di formazione delle nostre scuole. Possibile che, in alcune Regioni, il 90% degli studenti abbia la votazione massima e poi la formazione non sia adeguata?”.

C’è poi il capitolo sanità. “Anche qui non è tanto una questione di distribuzione ripartitoria, ma qual è il progetto che c’è dietro: il collegamento fra ricerca, cura e, perché no, industria, perché di essa è una parte della ricerca biomedica. E la ricerca ha a sua volta una ricaduta sull’industria. Cambiare complessivamente visione, progettare, programmare non sulla base di sensazioni e di impulsi ma sulla base di analisi. E’ un compito che hanno le istituzioni ma che la società può aiutare molto a far perseguire”.