Editoriale

La piccola Indi è anche figlia nostra

“L’unico modo di essere su questa terra è quello di non lasciare soffrire nessuno da solo. A cominciare dai piccoli e dagli indifesi”, ripeteva il Servo di Dio, don Oreste Benzi. Su alcuni temi compattarsi è un’esigenza di civiltà. La cittadinanza italiana alla piccola Indi Gregory non può prestarsi a letture di parte. Quello compiuto dal governo è un gesto di umanità e di misericordia universalmente condivisibile e lodevole nella drammatica corsa contro il tempo per cercare di portare in Italia la bambina condannata in patria a soli 8 mesi a vedersi staccare la spina.

Tentare di salvarla corrisponde alla volontà dei genitori e della famiglia che si oppongono all’inflessibile interpretazione del “fine vita” nel Regno Unito già emersa nei tragici casi di Alfie Evans ad Archie Battersbee. Difendere la sacralità della vita testimonia lo stesso spirito di prossimità manifestato da papa Francesco ai bambini disabili e ammalati: “Le vittime della cultura dello scarto sono proprio le persone più deboli, più fragili”. Perciò va riscoperta “la cultura dell’accoglienza”, valorizzando e custodendo la dignità nascosta in ciascuna vita”.

È un dovere umano e cristiano rimettere in discussione il rifiuto opposto dai tribunali britannici all’offerta dell’ospedale Bambino Gesù di Roma di continuare ad assistere Indi. Oggi la società appare sempre più inquinata dalla cultura dello “scarto”, cioè da una diffusa mentalità che è opposta alla cultura dell’accoglienza. E le vittime di questa deriva sono proprio le persone più deboli, più fragili, specialmente i bimbi affetti fin dalla nascita da patologie o handicap. Indi è figlia nostra, siamo tutti chiamati ad assumerci la responsabilità di genitori nel dare ancora una speranza alla più indifesa delle creature.

Abbiamo l’obbligo di richiamare la vicenda di Alex Montresor, in grado di riprendersi da una malattia genetica rara grazie a un trapianto di cellule staminali al Bambino Gesù. Nel cuore dell’infanzia provata dalla sofferenza c’è la bellezza, l’amore, la poesia di Dio che si rivela a chi ha il cuore semplice, ai piccoli, agli umili, a chi noi spesso consideriamo ultimi. Del resto tutto il magistero di Francesco è fatto di profezia e non di soluzioni tecniche. Come se dicesse: io ti faccio vedere ciò che tu non sei più in grado di vedere a causa delle cataratte storiche o ideologiche che ti riducono la vista: le persone-scarto, l’umanità e la fratellanza dei migranti, la catastrofe ecologica che minaccia la vita soprattutto dei popoli più poveri, ecco io ti tolgo le cataratte che ti impediscono di vedere, ma la soluzione tecnica a questi drammatici problemi la devi trovare tu, è responsabilità politica tua, io non voglio invadere il terreno della tua autonomia e della tua competenza di laico e soprattutto di laico impegnato in politica.

L’Alta Corte di Londra aveva dato ragione alla diagnosi senza speranza dei medici britannici, autorizzandoli ad avviare le procedure finali. Una sentenza definita “ripugnante” dal padre della piccola, “disumana e scellerata” da Pro Vita. È la stessa cultura dello scarto che porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto. Occorre rilanciare le storie a lieto fine di altri bambini britannici come Tafida Raqeeb, che a cinque anni fu trasferita in gravi condizioni da Londra al Gaslini di Genova, dove è poi migliorata fino a poter essere dimessa.

«La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine, quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo, la risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla piccolezza umana”, insegna Francesco. Consentire a una famiglia di confidare in “ulteriori sviluppi terapeutici” interpella la coscienza individuale e collettiva. Nessuno può voltarsi dall’altra parte, ognuno di noi può far sentire ad Indi prossimità e condivisione. “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”, afferma madre Teresa di Calcutta. La vita umana deve essere sempre difesa, senza alibi né contrapposizioni strumentali.

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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