Editoriale

Non si può guarire tutti ma si può curare tutti

La salute è un bene comune, si sente dire ovunque. Ma lo è davvero? La Giornata del Malato coincide significativamente con la Solennità di Nostra Signora di Lourdes e quindi oggi siamo invitati dal calendario liturgico a riflettere proprio sulla missione di soccorrere i sofferenti e sul valore universale delle cure. Mi ha colpito al cuore l’immagine di qualche settimana raccontata dai giornali. Una mamma ormai moribonda in una barca con la sua piccola creatura stretta tra le sue braccia. Lei muore e quelle braccia allentano la presa lasciando che il corpicino del bambino scivoli in mare annegando. In Siria abbiamo visto un’altra creatura miracolosamente venuta al mondo sotto le macerie, sottratta dalla morte a differenza della mamma uccisa dal terremoto e sepolta dalle pietre. Ho appena incontrato un giovane di venti anni portato dal Libano in Italia dai medici di strada per essere curato da un grave tumore. Ho letto nei suoi occhi tanta dignità e fiducia nei nostri medici.

Il dolore e la speranza sono due sentimenti che si incrociano e che ogni essere umano prima o poi sperimenta nella propria esistenza. I malati per cui noi preghiamo sono quelli innanzitutto con problematiche fisiche. E’ vero, loro hanno tanto bisogno di cure amorevoli e quindi di tanta umanità e professionalità. Poi ci sono le tante altre malattie, a volte meno evidenti ma pur sempre gravi e logoranti ma non sempre riconosciute e tutelate. Ai tanti malati psichici spesso mancano luoghi adatti per accoglierli e sostenerli. Fa male sentire che non c’è personale sanitario disposto a seguire i pazienti negli ospedali. Dai pronto soccorso i medici sono letteralmente in fuga e tendono a lasciare l’Italia perché corteggiati e considerati all’estero più che in patria o comunque in cerca di un posto nel privato dove ricevere compensi più gratificanti. Ci sono poi i tanti malati dell’anima. Affetti da malattie profonde che provocano sofferenze e solitudini di cui nessuno più parla. Forse anche noi sacerdoti possiamo correre il rischio di soccorrere le fragilità del corpo trascurando la cura delle anime ferite in profondità.

Lo si vede anche nel nuovo mondo definito virtuale: i social, i media fanno apparire tutto bello e felice. Ma dietro ai tanti volti, malati d’immagine e di patologico narcisismo, si scorgono esistenze infelici. Pur sfoggiando migliaia o addirittura i milioni di follower trasmettono desolante povertà interiore. Chi salva una vita salva il mondo intero, recita il Talmud. E ciò è tanto più vero nella lunga notte della pandemia. Ricevendo la Pastorale sanitaria della diocesi di Roma, papa Francesco ha indicano la strada per una sanità al servizio di tutti. “Stare vicino a chi è nel dolore non è facile, ma non bisogna scoraggiarsi di fronte a ostacoli o incomprensioni”, raccomanda il Pontefice che richiama le parole del buon samaritano: “Abbi cura di lui”. La società è spesso “deserta di umanità e sorda alla compassione”, perciò “accogliamo il grido di chi soffre e facciamo in modo che sia ascoltato, non lasciamolo chiuso in una stanza”. Un’accorata esortazione a “farsi fermento di carità”, a divenire “rete in mezzo alle onde più violente”. Attraverso la condivisione di “uno stile di gratuità e di reciprocità”. Trascinando a riva “chi rischia di rimanere sommerso e di affogare”. Operando insieme come “membra di un corpo”. Solo così la sofferenza di uno si tramuta in “sofferenza di tutti” e “il contributo di ciascuno è accolto da tutti come una benedizione”.  Ecco la ricetta di una sanità che invece di costringere i pazienti ad attese infinite per prestazioni ed esami, dimostri “ascolto, amore e accoglienza”.

L’emergenza Covid ha colpito in particolare la terza età e i più fragili, a cominciare dagli ospiti della Rsa. Le persone anziane portano con sé la memoria e la saggezza della vita che conserva sempre il suo valore agli occhi di Dio. La realtà socio-sanitaria è sempre più centrale nella nostra esperienza individuale e collettiva sia sul versante della ricerca, sia su quello dell’assistenza e della cura. Nell’insegnamento e nella testimonianza della Chiesa la famiglia resta il luogo privilegiato di accoglienza e di vicinanza. Per questo non può dirsi civile una comunità che faccia mancare il supporto di aiuti e di servizi adeguati. La Giornata del Malato mette al centro la dignità, l’identità, i bisogni della persona assistita ma anche dei familiari e degli operatori sanitari che la assistono. Curare è molto più che tutelare fisicamente una persona. Comporta un farsi carico, un camminare insieme, una condivisione. “Il silenzio tante volte si trasforma in una tortura – avverte il Papa -. Chiusure e silenzi troppo spesso circondano le persone in ambito assistenziale”. E sono stati due anziani a “riconoscere Gesù al Tempio e ad annunziarlo con gioia e speranza”.

Misericordia e carità per tutte le ferite e malattie fisiche e spirituali, quindi come insegnava il martire anti-mafia don Pino Puglisi. A un corso di esercizi spirituali a San Martino delle Scale, sulla collina che domina Palermo, annotò su un quaderno: “Se vogliamo diventare pescatori di anime, rientriamo in noi stessi e seguiamo Gesù. Il mondo, la carne, le passioni ci daranno l’infelicità, la morte, solo Cristo può darci la salvezza, è lui il Verbum salutis”. Povertà, umiltà, sacrificio: “Il figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo”. Salute del corpo e dell’anima, dunque. Non si può guarire tutti, ma si deve curare tutti. Questo il compito della sanità-bene comune.

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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