La lezione del sangue

Don Roberto, il sacerdote ucciso a Como da un senzatetto che lui da anni aiutava, è l’ultimo di una sequela di martiri che hanno versato il loro sangue come Cristo. Prima di lui padre Popieluszko freddato durante la Santa Messa, l’arcivescovo Romero, don Andrea Santoro, frére Roger e tanti altri hanno perso la vita per testimoniare il valore salvifico della fede.

L’altro giorno mi ha scritto un’anziana signora rimpiangendo la tradizionale predicazione: “Vorrei tanto che i sacerdoti parlassero più di Gesù”. Ecco la necessità che personalmente ho constatato in questi mesi di pandemia: l’esigenza di riscoprire la dimensione interiore, attraverso la preghiera e la vita spirituale. In oltre tredici milioni hanno partecipato in sei mesi all’affidamento alla Vergine Maria con cui sui social ho accompagnato il percorso individuale e collettivo dei fedeli impossibilitati a prendere parte fisicamente alle celebrazioni liturgiche.

C’è una sete di Sacro di cui la società dell’effimero non potrà mai diventare il surrogato. La domanda di senso sostanzia il vuoto di significato che la pandemia ha svelato. Non di solo pane vive l’uomo. Parlare esclusivamente di Pil da risollevare dimentica le istanze più profonde dell’essere umano. Siamo alle prese con una crisi sistemica da cui le nuove generazioni rischiano di essere segnate per sempre.

Chi insegna ha una missione come chi evangelizza. Conosciamo tante storie esemplari di maestri e professori che si sacrificano quotidianamente dando non solo metaforicamente il loro sangue per l’indispensabile trasmissione di conoscenza tra le generazioni. Papa Francesco l’ha definito un patto tra adulti e ragazzi e lo ha segnalato al Parlamento Europeo come unico strumento per garantire un futuro al vecchio continente.

E invece alle spalle dell’emergenza educativa che è sotto gli occhi di tutti, c’è la metodica distruzione di ogni agenzia deputata alla formazione: famiglia, comunità, parrocchia. A furia di delegittimare quegli adulti che sarebbero in grado di guidare i giovani, si è condannata più di una generazione ad affidarsi a “cattivi maestri” oppure ad avventurarsi nei sentieri virtuali di impersonali tecnologie che non saranno mai dotate di un’anima né di un cuore, malgrado l’ossimoro logico dello slogan “intelligenza artificiale”.

Oggi si celebra la ricorrenza liturgica di San Giuseppe da Copertino, protettore degli studenti, quasi a significare che la saggezza del cuore conta più del nozionismo privo di sentimenti. La riapertura delle scuole è avvenuta alla luce fosca di gravi “dimenticanze”. Ne indichiamo solo alcune con l’auspicio che qualcuno corra tempestivamente ai ripari: l’impoverimento della componente relazionale dell’istruzione, l’assenza di un supporto specialistico psicologico (per elaborare il trauma generale del lockdown), l’inammissibile ritardo nell’assegnazione delle cattedre di sostegno che ha costretto migliaia di studenti diversamente abili a fronteggiare da soli il ritorno in classe.

A ciò andrebbe aggiunto l’eccesso di enfasi sulle modifiche logistiche negli istituti rispetto al diffuso disinteresse per il superamento dei disagi interiori e comunicativi nelle scolaresche trasformate in un anonimo insieme di individualità menomate delle loro esigenze di socializzazione. Una bambina ha descritto minuziosamente alla mamma le modifiche negli arredi dell’aula, senza spendere una parola sugli amichetti rivisti per la prima volta da febbraio.

San Giuseppe era poco a suo agio con i libri ma aveva il desiderio di conoscere e nonostante la povertà e la malattia riuscì a colmare la sua aspirazione di apprendere. Per questo la Chiesa l’ha reso patrono degli studenti a significare che il primo dovere di chi insegna è infondere il santo amore di elevarsi come faceva il “santo che volava”, simbolo di una cultura della vita che sa superare le avversità del presente. Tutto il contrario delle bassezze egoistiche e delle piccinerie elettoralistiche che da ogni angolazione hanno tristemente accompagnato l’avvio dell’anno scolastico. San Giuseppe da Copertino “tu sai, per tua personale esperienza, quanta ansietà accompagni l’impegno dello studio e quanto facili siano il pericolo dello smarrimento intellettuale e dello scoraggiamento”, non abbandonare i nostri figli!