Editoriale

La teologia degli ultimi

“Ci si salva tutti o nessuno“, insegna Francesco. Dalla crisi si esce ascoltando gli “ultimi”. Superare la pandemia, secondo il Papa, non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali affinché  sembrino più giuste. Uscire dalla crisi significa cambiare. E il vero cambiamento va fatto “tutti insieme“. La teologia degli ultimi  esorta pastori e fedeli a rafforzare il modo di testimoniare e comunicare il Vangelo. A dare parole di speranza, ad essere attenti ai poveri e a chi non ha voce e a curare sempre la formazione. “Leggendo” i problemi della gente con la prospettiva antropologica cristiana tramite la presenza capillare nelle periferie geografiche ed esistenziali. Alcuni esempi sono la scelta preferenziale per i poveri,
che Francesco sempre ricorda, oppure una lettura incarnata nella storia della Parola di Dio. Ma soprattutto il senso di una
Chiesa come popolo.
Nella teologia degli ultimi di papa Francesco la dimensione del
popolo si fonda e cresce su una Parola di Dio. Letta nella
storia e nella vita dei popoli e dei poveri. Il cui ascolto libera,
dona speranza, integra, guarisce, dà gioia anche nelle difficoltà.
Come si percepisce, per esempio, nei canti e nelle manifestazioni gioiose di religiosità popolare. Nei documenti del Concilio Vaticano II, la Chiesa povera per i poveri auspicata da Francesco non appare in modo così evidente e compiuto. Anche se, come mostra un libro di Joan Planellas Barnosell (La Chiesa dei poveri. La sfida sempre attuale del Vaticano II), questo tema ha percorso tutto il dibattito conciliare. Se ne trova traccia qua e là nei testi. Papa Roncalli parlava di una Chiesa di tutti, particolarmente dei poveri. Comunque già alla fine del primo capitolo della Lumen
Gentium, un paragrafo contiene quella teologia che in Jorge Mario Bergoglio prenderà la forma di un aspetto essenziale del
vivere della Chiesa. È, infatti, evidente a tutti come Francesco
voglia vivere e testimoniare la Chiesa povera per i poveri, sui
cui il Concilio aveva posto l’attenzione. Lo fa parlando continuamente dei poveri, della cultura dello scarto così diffusa nella nostra società, della necessità di “toccare la carne” dei poveri e non solo di
aiutarli tenendoli a distanza.
Proprio dalla teologia degli ultimi emerge l’idea del popolo, a cui tutti possono appartenere. È quanto dice Francesco nella Evangelii Gaudium quando parla dell’inclusione dei poveri (186-216). Per la Chiesa, scrive papa Bergoglio, l’opzione per i poveri è una categoria teologica. Prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. “Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri– spiega il Pontefice- Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti si lascino evangelizzare da loro”. Non si tratta solo di assistere i poveri. E l’esercizio della carità nei loro confronti è un problema delle tante realtà cattoliche del volontariato. L’amore per i poveri e la loro inclusione nella comunità, nel rispetto delle differenze, si pone come una dimensione costitutiva dell’essere cristiano. Francesco porta a compimento un aspetto del vivere della Chiesa che diventa fondamentale per il suo stesso esistere. Ciò si configura come porta aperta a tutti, e particolarmente ai poveri. È stato anche il senso dell’Anno Santo della Misericordia.

Giacomo Galeazzi

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