La finta bellezza

Un giovane culturista foggiano di 30 anni è morto dopo una settimana di coma in ospedale, un altro è ricoverato in condizioni gravi anche se non è in pericolo di vita. Sembra avessero assunto sostanze dopanti in vista di una gara. E’ solo l’ultima tappa di una perversa corsa alla perfezione, al soddisfacimento di un modello estetico, quale che sia.

I muscoli per gli uomini, la magrezza per gli adolescenti, il disegno delle labbra per le donne; ed è una generalizzazione che non rende neanche bene l’idea delle mille sfaccettature di questa ossessione per il fisico che è andata ben oltre la pur corretta attenzione per il proprio corpo.

C’è un equivoco di fondo, che ha ormai pervaso la società; aver cura dl corpo così come ce lo ha consegnato Dio significa averne rispetto, non sfruttarlo oltre i limiti, ricordarci che esso stesso può essere strumento per interagire con le altre creature. In buona sostanza averne cura significa tenerlo in salute, non migliorarlo in estetica.

Nell’accezione odierna, invece, la frase “avere cura del proprio corpo” vuol dire esattamente questo, fare in modo cioè che sia riconoscibile dagli altri come il canone estetico che più si avvicina alla percezione della perfezione, se vogliamo dirla con un gioco di parole. E questo a prescindere dai danni che tale ricerca può provocare. Ecco dunque che si mangia sempre meno, fino a minare l’equilibrio fondamentale della struttura umana, si gonfiano artificiosamente i muscoli anche se ciò può provocare danni irreparabili, si ricorre al chirurgo per livellare, modellare, ridefinire non ciò che non va ma ciò che non piace.

In questa folle corse contiamo sempre più vittime. Quelle che tutti vediamo, ossia le morti provocate da un intervento sbagliato o una sostanza “impazzita”, e quelle – estremamente più numerose – invisibili, ossia quelle persone costrette a vivere con accanto il fantasma della perfezione; peccato che questo compagno di viaggio sia sempre un passo avanti, irraggiungibile, e costringa a un’esistenza ripiegata su se stessa, sacrificata, dove solo l’effimero complimento – che il passare del tempo rende sempre più flebile – non basta a riempire un vuoto che piano piano diventa incolmabile.