L’importanza di coltivare legami internazionali per fermare la guerra

Nell’ambito dell’azione nonviolenta occorre coltivare legami internazionali, in vista di una maggiore incisività su quei processi e su quelle istituzioni che operano a livello sovranazionale e multilaterale. Solo agendo su questo piano, si può influire nella necessaria riforma dei mercati, delle istituzioni di pace e delle politiche mondiali; si possono altresì instaurare quelle collaborazioni, quel lavoro di intelligence, quella vigilanza sulla rete web e sugli ingenti flussi di denaro, che sono determinanti nel prevenire e combattere la violenza del fanatismo e del terrorismo, che si avvale dii nuovi e sofisticati mezzi.

Come è avvenuto in altri casi, nel conflitto in Ucraina è configurabile, in modo preciso, l’evenienza di un’ingerenza umanitaria. Alla sua concreta gestione poteva o doveva presiedere l’autorità mondiale, l’ONU. Purtroppo ciò non è avvenuto perché tale autorità al momento difetta di quella trasparenza decisionale e di quella efficacia operativa che sarebbero richieste. Basti pensare che la Confederazione russa siede nel Consiglio di sicurezza, che delibera all’unanimità dei suoi membri e a cui attualmente spetta assumere decisioni a proposito dell’invasione russa in Ucraina. Il semplice veto russo è in grado di bloccarle.

Siamo di fronte ad un’impasse molto importante che segnala deplorevolmente la debolezza dell’istituzione mondiale, che da molte parti, anche dalla Chiesa Cattolica, si è richiesto di riformare. Questo diritto scatta quando la situazione aggressiva è estrema e ogni altra iniziativa di pacifica trattativa negoziale è fallita, ivi incluso l’effetto deterrente delle sanzioni economiche, mentre persone deboli e totalmente esposte continuano a cadere uccise o colpite sotto i colpi balistici o missilistici inferti con inaudita ferocia da impianti molto sofisticati. Siamo di fronte ad una extrema ratio, la cui urgenza per la tempistica e la cui emergenza per i beni personali coinvolti richiede una risposta hic et nunc puntuale e precisa, incompatibile con i tempi diplomatici troppo lunghi e incerti.

Del resto, da un punto di vista etico, è ulteriormente in gioco la questione di una specifica connivenza, quella di chi lascia che sia aggredita a morte la popolazione che può in qualche modo aiutare a sfuggire ad un destino così disumano. Con quella russo-ucraina siamo di fronte ad una guerra continuativa di aggressione con una distruttività disumana, barbara e crudele, che ha largamente interessato la popolazione civile e ogni tipo di costruzioni urbane e rurali, provocando molti morti e feriti, sfollati e senzatetto. Ed altro ancora. I basilari criteri del diritto internazionale sono stati violati non solo per i molti cadaveri ritrovati nelle «fosse comuni» (e il modo con cui sono stati rinvenuti), ma anche per i corridoi umanitari non garantiti – o lasciati credere garantiti e poi intenzionalmente violati – oppure non concessi, come pure per il bombardamento di edifici ospedalieri e scolastici. La gente vive in strettezze di tutti i tipi, in primis l’assenza di cibo e di acqua.

La configurazione di un delitto di genocidio, prende sempre più piede, con la progressiva scoperta delle atrocità commesse sulla popolazione debole e inerme. I soggetti agenti e agiti di questa tragedia, l’aggressore russo e l’aggredito ucraino, sono ben chiaramente identificati ed anche eticamente valutati. Dal punto di vista morale, un giudizio oggettivo è molto chiaro e grave, anche considerando l’ingiustificato motivo imperialistico e pseudo-difensivo che si dice abbia mosso all’invasione armata di uno Stato libero e sovrano. È ovvio che la cosiddetta «difesa» dello Stato russo non può essere configurata come «preventiva», perché avviene in assenza di precise aggressioni e soprattutto non può giustificare in nessun modo invasioni violente come quella che purtroppo è in atto da più di dieci mesi.

Appare, invece, assodato il diritto a difendersi di una nazione stremata come l’Ucraina, ossia il suo diritto naturale a cercare di bloccare con la forza la violenza bellica, ampiamente letale, dell’aggressore. E questo, se necessario, sino alla sua soppressione fisica. È questo un precipuo dovere della pubblica autorità, a cui non può eticamente sfuggire. Come nel caso dei governanti ucraini, se si può rinunciare alla propria legittima difesa, non si può rinunciare alla legittima difesa dovuta a terzi, al popolo intero. Nel caso in questione, si configura, inoltre, il diritto a essere sussidiati nell’opera difensiva, che diviene cogente perché le risorse proprie sono insufficienti, mentre quelle degli Stati vicini abbondano.