Il silenzio di Manduria che uccide

L’abbiamo fatto per passare il tempo”, ha detto agli inquirenti uno dei ragazzi che ha vessato Antonio Stano. Sembra che molti sapessero da sempre quello che accadeva a questo “Gesù” trafitto da una spietatezza inaudita. Si parla di ripetute aggressioni con bastoni, pugni e calci a una persona del tutto indifesa.

E’ l’intera società ad essere in pericolo se a 15 anni non si ha il minimo rispetto e nemmeno pietà verso una persona anziana, vulnerabile per problemi psichici, sola e isolata, al punto da infliggergli un calvario di violenze fino a provocarne la morte tra atroci sofferenze. Come si può accettare che 14 ragazzi, di cui 12 minorenni, torturino ripetutamente un anziano diffondendo sui social i tanti filmati delle sevizie e dell’agonia?  A morire con il pensionato di Manduria, Antonio Cosimo Stano, è un intero paradigma di società i cui valori vengono inesorabilmente corrosi dagli odierni modelli (sub)culturali.

Nell’ultimo anno 20mila minorenni sono stati colpiti da provvedimenti penali, 16mila in carico ai servizi minorili, 103 assassinii e 11mila reati contro la persona commessi da minori. La baby gang di Manduria è composta da minorenni che sembra non abbiano la benchè minima consapevolezza di quello che hanno fatto: in questo vuoto spaventoso è racchiusa tutta la drammaticità dei fatti. Saranno gli adulti di domani. E loro complici sono tutte quelle persone che hanno finto di ignorare un dramma che non è accaduto in una metropoli ma in un paesotto di circa 30 mila abitanti. Ad uccidere il pensionato non è stata solo una banda di ragazzini ma un intero tessuto sociale che con le proprie omissioni e silenzi ha condannato a morte una delle tante persone con problemi psichici che in Italia sono abbandonate senza tutela né assistenza. Perché nessun servizio sociale si è mai fatto carico di Antonio? Quanti altri come lui sono in balia dell’altrui crudeltà ?

L’altro giorno all’uscita da un centro commerciale ho visto un gruppetto di preadolescenti strattonarsi reciprocamente, urlandosi addosso, bestemmiando a gran voce, ridendo e inveendo senza alcun senso. Si stavano divertendo, secondo i miei vicini. Guardando i tanti volti dei passanti, completamente indifferenti, mi sono reso conto che in quel momento ero l’unico ad essere sconcertato. Così ho pensato di essere diventato già troppo vecchio o quantomeno di avere una mentalità inadatta a comprendere ciò che la maggioranza di quelle persone riteneva così normale da non badarci. Poi mi sono tornati alla memoria i numerosi sfoghi di tanti insegnanti e il racconto di quello che sono costretti a vedere e subire nelle scuole. Quasi tutti scelgono il silenzio per paura delle reazioni smodate dei ragazzini ma anche di quelle dei loro genitori. Insomma il fatto drammatico appena accaduto a Manduria è la punta insanguinata di un iceberg sconfinato. In provincia di Taranto andava in scena da anni una escalation spaventosa di soprusi e raid punitivi, condotti secondo lo stile “Arancia meccanica” che non poteva non prefigurare l’atroce epilogo.

Così il bullismo è diventato crimine efferato e la baby gang si sarebbe trasformata in branco spietato.  Prima di addentarci nelle cause, come insegnavano un tempo i maestri della cronaca nera, serve analizzare i tragici effetti. Il quadro del delitto è sconcertante. Solo due dei 14 giovani indagati per la morte del pensionato hanno precedenti e sono conosciuti dalle Forze dell'ordine. Gli altri sono sempre stati considerati “bravi ragazzi” con un tratto distintivo: le foto e i video delle loro bravate venivano fatti circolare su Whatsapp. Della vittima parlano sempre come del “pazzo”, lo chiamano così come a derubricare l’enormità delle loro colpe e alle forze dell’ordine ripetono che lo facevano per gioco e che non si rendevano conto di quello che gli stavano facendo. Antonio Di Gioia, presidente dell'ordine degli psicologi della Puglia, parla di ragazzi “violenti per noia”. Dalle giustificazioni rese ad avvocati e genitori e pubblicate dalla stampa emergono le caratteristiche del branco che nessuno però ha riconosciuto come tale. Gli indagati esaltavano in chat le vessazioni inflitte al pensionato. Nei social i ragazzi condividevano quelle che per loro erano solo bravate, marachelle. “Il branco aveva riconosciuto in quell'uomo una persona indifesa, lontana da un gruppo sociale che avrebbe potuto fare rete con lui”, osserva di Gioia. Filmavano e condividevano le incursioni nell'abitazione del pensionato, documenti che non li ponevano in condizione di riconoscere la gravità di quanto stessero facendo; anzi, servivano evidentemente a rinforzare l'appagante sensazione di prevaricazione. Sconcertante è la latitanza degli adulti e cioè il silenzio di quella parte di comunità che ben sapeva e che ha taciuto. Una indifferenza che ha impedito a questi ragazzi di ritrovare il senso della realtà. E che dimostra quanto il tessuto sociale, anche quello non metropolitano e meglio gestibile della provincia, sia ormai gravemente ammalato.