La grande agitazione per le “riforme istituzionali”

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Immagine di repertorio Roma 09/09/2019 - Camera dei deputati / foto Samantha Zucchi/Insidefoto/Image nella foto: Camera dei Deputati

Grande agitazione nella politica per le “riforme istituzionali” che per le affermazioni del presidente Meloni sono il rimedio per ogni malore che colpisce la governabilità del paese e la speditezza delle decisioni. La presidente è disposta a rinunciare persino alla elezione diretta del Capo dello Stato virando sulla elezione diretta del Capo del Governo, scansando l’opinione prevalente orientata a pensare la Presidenza della Repubblica l’unica istituzione efficiente. In definitiva si è convinta che scegliendo direttamente il Presidente del Consiglio dei ministri, le decisioni di governo saranno più pronte, la stabilità sarà assicurata e ne guadagnerebbe la governabilità.

Certamente la situazione potrebbe migliorare, ma è un bene mettere in guardia, che qualora le questioni verrebbero impostate male, potrebbe anche peggiorare, e di tanto. Il piccolo cabotaggio all’italiana dei fantasiosi e fallimentari partiti della seconda repubblica, spesso ha fatto leva su due fattori per convincere l’opinione pubblica alle riforme istituzionali: la verticalizzazione e semplificazione della politica e la velocità delle decisioni. Nel corso dell’ultimo quarto di secolo per raggiungere il primo obiettivo, sinistra e destra hanno adottato il maggioritario ai danni del proporzionale e delle preferenze per la scelta dei parlamentari, indeboliti i partiti di partecipazione dei cittadini e resi personali o molto chiusi i partiti. Come notiamo i partiti agiscono senza persone, sono difficilmente scalabili, e sono in larga parte di proprietà di singoli o di una ristretta cerchia di politici di professione. Quale stabilità poteva nascere da questa miserrima condizione? Ed infatti il bipolarismo coatto non produce coesione nemmeno tra forze politiche alleate, metà dei i cittadini delusi non vanno a votare. La stabilità è peggiorata con alleanze coatte, e con elettori che non votano più i loro parlamentari sostituiti dai capi partito che ben volentieri li scelgono per la loro personale stabilità, non certo per la stabilità della Repubblica.

Quanto alla velocità delle decisioni, abbiamo tanti casi di decretazione scadente d’urgenza, da metterci in guardia dalla fretta e rimpiangere i periodi in cui le decisioni venivano più lungamente ponderate. Ed allora se le riforme venissero impostate onestamente ed animate dall’idea più elementare delle Democrazie, che la stabilità riguarda la partecipazione dei cittadini alla vita politica con partiti aperti, e rappresentanti del Parlamento scelti direttamente dagli elettori, le riforme che si propongono potrebbero rendere forte la Repubblica. Ci sono altri aspetti assai rilevanti che rendono malferme le fondamenta delle istituzioni. Soprattutto quelle locali che andrebbero risistemate con grande vigore. Esse sono troppe e costose: regioni, alcune grandissime ed altre piccolissime, un numero esorbitante di comuni che andrebbero accorpati in comuni dell’area vasta, provincie senza senso che si vuole resuscitare.

Queste entità sono sovraccaricate di compiti e non controllate, e sono concepite come se fossero in un ordinamento federale, con aggravi continui dei costi e dei contenziosi tra di loro, e tra loro e lo Stato. Si capisce allora del perché i “cacicchi” delle Regioni vogliono dotarsi di ulteriori poteri e resuscitare le provincie. Ed allora la domanda da porre prima di aprire la discussione per il premierato è: i quesiti su esposti sono compresi nel disegno che si intende perseguire? Sarebbe strano se non fosse così. Il paradosso sarebbe quello che gli elettori voterebbero il capo del governo ma non il proprio rappresentante territoriale in Parlamento. Si cercherebbe efficienza e riduzioni di costi e terremmo in vita una pletora di enti locali e regioni che hanno più poteri e competenze degli Stati dei più grandi Stati federali del mondo.