Il cuore della Chiesa

Madre Teresa diceva che il più bel regalo è il perdono e che dobbiamo rendere le nostre case centri di compassione. Ieri Francesco, nella Giornata dedicata alla Parola di Dio, ha ribadito che la “salvezza è destinata a tutti, anche ai più lontani e perduti”. Non si può, infatti, predicare un Dio dal cuore largo ed essere una Chiesa dal cuore stretto. Abbiamo tutti la responsabilità di seguire la paterna sollecitazione con cui Jorge Mario Bergoglio ci chiama alla conversione e al cambiamento. Dobbiamo allargare i nostri cuori. La Parola di Dio, che è al centro della vita cristiana, ci unisce generando misericordia e dialogo. Il ritorno alla vita spirituale richiede che il fulcro torni ad essere quel rapporto con Cristo che spesso manca. La Chiesa non può essere una Ong. Occorre ripristinare la relazione con il Signore. Il mondo non ha bisogno di cattolici affaristi bensì di fedeli che mettano in pratica la Parola di Dio. Accantonarla equivale al fallimento della missione dell’Ecclesia basata sull’ascolto della Lieta Novella da mettere in pratica. Nessuno va mai considerato irrecuperabile. Anche il ladrone sul Golgota ha avuto, all’ultimo istante della sua vita, la possibilità di convertirsi. Il dialogo è sempre possibile, anche e soprattutto quando si tratta di far tacere le armi in guerre sanguinose. E nello stesso tempo Francesco ci ricorda incessantemente che anche la nostra lingua può uccidere ed essere motivo di calunnie e profonde divisioni.

Nel Vangelo di ieri il Signore invita gli apostoli a lasciare le reti per divenire pescatori di uomini. Oggi tra le reti da cui ogni tanto bisognerebbe distaccarsi ci sono anche quelle digitali assieme alle tante dipendenze che si tramutano in vere prigionie e portano a sentirsi intrappolati. Dall’altra parte, invece, c’è una rete (la Chiesa) che ci salva facendoci riaffiorare dagli abissi. E su questa rete che vale la pena scommettere la propria esistenza per portare alla luce chi è smarrito o vive nelle profondità del peccato e del disordine morale. Perciò annunciare il Vangelo senza preclusioni e a porte aperte “deve diventare la principale urgenza della comunità ecclesiale”. Francesco indica direttamente il modello di Gesù. Avere il cuore stretto è “una maledizione”. Quindi “non ci succeda di predicare la salvezza per tutti e rendere impraticabile la strada per accoglierla”. Non accada di saperci chiamati a portare l’annuncio del Regno e trascurare la Parola “disperdendoci in tante attività secondarie, o tante discussioni secondarie”. Un accorato richiamo a mettere la Parola al centro, “ad allargare i confini, ad aprirci alla gente, a generare esperienze di incontro con il Signore”. Mai sbarrare le strade della salvezza.

La testimonianza è condivisione. Dunque, evangelicamente, mai “mettere sulle spalle della gente dei pesi troppo faticosi da portare”. L’unità va edificata insieme “non sotto i nostri gusti, le nostre tendenze e preferenze, ma sotto l’unica Parola di Dio che ci plasma, ci converte”. La Parola di Dio non è cristallizzata “in formule astratte e statiche”. Conosce una storia dinamica, “fatta di persone e di eventi, di parole e di azioni, di sviluppi e tensioni”, insegna Francesco. A fondamento ci sono i sacramenti, specialmente la confessione, luogo privilegiato di misericordia da cui trarre le forze per la missione. Francesco è un Pontefice profondamente contemplativo, prega e fa pregare. Lo ha fatto appena eletto al Soglio di Pietro invitando a pregare l’intera piazza. E lo fa sempre. Ogni volta che incontra qualcuno, prega con lui. Soprattutto quando ha a che fare con l’emarginazione e la sofferenza, ciò che ha anzitutto da offrire è la fede. È quello che scrive nella esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” con parole chiarissime: “Desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale”. La Parola di Dio, perciò, sia sempre il nostro progetto di vita individuale e collettiva.