Il cristianesimo è una religione pratica

Aveva ragione Madre Teresa quando a una giornalista che le chiese a bruciapelo cosa si provava ad essere acclamata santa da tutto il mondo, rispose: “La santità non è un lusso, è una necessità”.  Tutti siamo chiamati alla santità perché essa è alla portata di tutti, fa parte della normalità della vita cristiana. Ogni figura di santità esprime tratti personali, diverse sensibilità pastorali ed ecclesiali, vari cammini spirituali, accomunate   nel pellegrinaggio dell’unico popolo di Dio verso una stessa patria, nel riconoscimento di un solo Padre, nella appartenenza all’unico corpo di Cristo e nella docilità all’unico Spirito.

La santità non è qualcosa di estraneo al desiderio profondo del nostro cuore ma è l’adempimento della perenne vocazione di ogni uomo alla felicità. La santità è la fonte della gioia. Il cristianesimo è religione di vita e di felicità. La santità è il coronamento d’ogni nostra aspirazione di bene. La felicità rimane la nostra aspirazione più profonda e la nostra delusione più amara, non potendola completamente raggiungere la si desidera ardentemente.

Alla nostra società stressata, disincantata e indifferente le beatitudini ci offrono una proposta di umanizzazione che dà senso alla nostra vita quotidiana e ci offrono prospettive di speranza verso un avvenire aperto all’eternità. Le beatitudini contengono un messaggio paradossale e rivoluzionario: le persone sconfitte secondo il mondo vengono considerate da Gesù come i veri vincitori, chiamati ad edificare il Regno di Dio, come regno di santità e di grazia, di libertà e di verità, di giustizia, di amore e di pace.

Nella Esortazione Apostolica “Gaudete et exultate” Papa Francesco afferma che le beatitudini sono un programma di santità. Esse sono: “Poche parole, semplici, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla”. La realizzazione delle beatitudini nella vita quotidiana è un dono dello Spirito Santo che ci pervade con la sua potenza e ci libera dalla fragilità, dall’egoismo, dalla pigrizia e dall’orgoglio. La santità come via alla vera felicità per il Papa è essere poveri nel cuore, reagire con umile mitezza, saper piangere con gli altri, cercare la giustizia con fame e sete, guardare ed agire con misericordia, mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, seminare pace intorno a noi, accettare ogni giorno la via del Vangelo non ostante ci procuri problemi.

Che “felice” e “beato” siano sinonimi di “santo” ci è dimostrato dalla vita di tanti discepoli di Cristo che hanno preso il Vangelo alla lettera: da Paolo a Francesco d’Assisi, da Filippo Neri a Tommaso Moro, da madre Teresa di Calcutta al beato Carlo Acutis. Francesco ricorda che i santi non sono solo «quelli già beatificati e canonizzati», ma il «popolo» di Dio, cioè ognuno di noi, che può vivere la santità come un itinerario fatto di «piccoli gesti» quotidiani: «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente – scrive il Papa -. Nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante». È questa la «santità della porta accanto». La santità va cercata nella vita ordinaria e tra le persone a noi vicine, non in modelli ideali, astratti o sovrumani.