L’arte di benedire nel mondo che maledice

Benedire
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Viviamo in un mondo che ormai sembra diventato microscopico. Infatti attraverso la tecnologia e la rete si può entrare ovunque ed esaminare chiunque, addirittura scoprendo da semplici cittadini le intenzioni dell’altro. Ciò che può ancora impressionare qualcuno è questo impeto di dire male, cercare il male, vedere in ogni cosa il male, fare il male e godere del male. Un atteggiamento devastante che riporta l’essere umano ad un imbarbarimento che forse il secolo scorso qualcuno aveva immaginato ormai irripetibile.

Invece le forze del male non si sono mai arrese anzi hanno riorganizzato le proprie energie malefiche perché questa è la loro indole e natura: mortificare, disprezza e distruggere. Questi sentimenti li vediamo così presenti nella nostra vita sociale abituandoci drammaticamente a certi ciechi comportamenti dove l’abbattimento dell’altro è sempre il primo scopo. Anche nei contesti religiosi è entrato questo virus prepotentemente, ribaltando così ciò che invece ci si poteva aspettare da coloro che desiderano fare la volontà di Dio.

Anche nella cristianità ci si odia. Per non parlare dell’invidia e della feroce gelosia che c’è all’interno del mondo cattolico. Il triste spettacolo della maldicenza è ormai sotto gli occhi di tutti e ciò che imbarazza è la simultanea indifferenza e silenzio. L’odio e la violenza sembra stiano diventando la normale routine. A questo si oppone il “bene-dire”.

Benedire è il modo in cui la Chiesa e i cristiani manifestano l’immenso bene che Dio vuole all’umanità. È benedicendo che si costruiscono strade di riconciliazione. Nell’intervista a “Che tempo che fa”, Francesco ha ricordato una prassi ecclesiale che dura da duemila anni: “Il Signore benedice tutti, tutti, tutti”. La missione dell’Ecclesia, secondo il Papa, è proprio quella di “aiutare a non ricadere o a ricadere meno, ma perdonare”.

Siamo di fronte alle “voragini spirituali e morali dell’umanità”, di fronte ai “vuoti che si aprono nei cuori e provocano odio e morte”. Quindi “solo un’infinita misericordia può darci salvezza”. Solo Dio può riempire col suo amore vuoti e abissi interiori. Permettendoci di “non sprofondare” e di continuare a camminare insieme “verso la Terra della libertà e della vita”. Al centro del Magistero, inoltre, c’è la necessità di insegnare a benedire e non a maledire.

La Chiesa è per sua natura benedicente. Questa consapevolezza proviene dalla sua storia. E si è sviluppata nei secoli anche attraverso gli errori e orrori più gravi che sono stati perpetrati. E di cui talvolta ci si è resi conto solo dopo tanto tempo che erano stati adottati comportamenti e scelte sbagliate o legate alla cultura. Tra i numerosi e tragici esempi, la schiavitù. Fino a poco più di un secolo fa era comunemente accettato e concepito come normale che persone inferiori per classe sociale fossero destinate alla condizione di schiavitù.

Come ribadito dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, la benedizione è una preghiera indirizzata a Dio, per lodare Dio, per chiedere a Dio aiuto e protezione: “Riguarda le persone e gli oggetti nella loro relazione con le persone”. Benedire, dunque, significa “manifestare il bene che Dio ‘dice’ delle persone, che Dio vuole per loro. Nessuno può essere privato della benedizione di Dio”. E come ogni vera preghiera, la benedizione ci invita a riconoscere la nostra fragilità. Benedire realizza pienamente la profezia del Salmo. Cioè la misericordia di Dio è eterna, l’amore del Risorto è per sempre e per tutti.

“Possiamo confidare totalmente in Lui e gli rendiamo grazie perché per noi è disceso fino in fondo all’abisso – insegna Jorge Mario Bergoglio -. Il Signore volge il suo sguardo di tenerezza e compassione verso gli affamati, gli assetati, i forestieri e i carcerati, gli emarginati e gli scartati, le vittime del sopruso e della violenza”. Benedire, insomma, è l’arte della Chiesa, del cristiano, del sacerdote, di ogni persona consacrata. Si benedicono le cose, i beni materiali, il cibo, gli animali, la vita. Si benedice ciascun essere umano e l’umanità nel suo insieme. Noi sacerdoti andiamo a benedire le case, visitiamo le carceri e benediciamo anche coloro che hanno commesso reati gravi.

Questo non vuol dire approvare l’errore ma – come diceva don Benzi – l’uomo non è mai il suo errore. E quindi, oltre alla benedizione c’è, per chi lo chiede, il Sacramento della Riconciliazione dove si riceve l’assoluzione quando si manifesta un sincero pentimento. La Chiesa non può non benedire chiunque desidera avvicinarsi al Signore. Il mondo, come testimonia incessantemente il pontificato di Francesco, è pieno di persone che soffrono nel corpo e nello spirito, mentre le cronache giornaliere si riempiono di notizie di efferati delitti, che “non di rado si consumano tra le mura domestiche”, e di conflitti armati su larga scala che “sottomettono intere popolazioni a indicibili prove”.

La Chiesa diventa lo spazio dove si può cambiare condotta e tutto ciò è benedizione. La benedizione è un atto prima umano e poi anche religioso e per i cattolici connaturato alla missione della Chiesa, perciò è illogico mettere in discussione l’importanza e la forza di benedire. Un gesto tanto più significativo e potente in un mondo sgangherato in cui ci si insulta e si odia proprio perché nessuno parla più bene dell’altro. Sarebbe necessario educare a benedire partendo dai genitori che ogni giorno possono dare l’esempio benedicendo i propri figli, la famiglia, il lavoro…questi gesti insegnano più di ogni altra cosa.