Coronavirus: i big dell’hi-tech ne sono “immuni”

La market cap e i profitti di Zuckeberg

Il settore high tech sembra essere immune dal Coronavirus. Lo dimostra il Nasdaq, il listino americano delle società più innovative, che ha recuperato tutte le perdite dall’inizio del 2020 e continua a crescere più delle altre piazze azionarie, grazie alle società anti-coronavirus e ai lockdown che, costringendo la gente a casa, hanno incrementato le presenze su Internet, le vendite di prodotti tecnologici, specie quelli per lo smart working, gli acquisti online e quelli di streaming video-musicali. Ma come si posizionano nell’emergenza coronavirus i big dell’high-tech?

I dati di Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google

A spingere il Nasdaq sono soprattutto le ‘Faang’, i big della tecnologia e di Internet, e cioè Facebook, Amazon, Apple, Netlifix e Google. Tutti i marchi dell’alta tecnologia americana hanno sorpreso positivamente, sfornando nei primi tre mesi dell’anno dei bilanci che reggono, almeno per ora, al contagio del coronavirus. Facebook, il re dei social network, ha potuto contare un rialzo del 10% degli utenti e del 15% degli utili.
Microsoft, il colosso del software e di internet ha retto bene con la sua diversificazione anzitutto nei servizi cloud. Amazon, poi, sembra fatta apposta per rifornire tutti quelli costretti a rintanarsi in casa, tanto che, per far fronte all’ondata di ordini dovuta ai lockdown e alle carenze di  personale, sta riorganizzando il suo sito web facendo il contrario di quello che l’ha resa una delle aziende più grandi e potenti del mondo: vendere meno articoli e convincere i suoi clienti a mettere meno articoli nei loro carrelli.
Anche Alphabet, la holding di Google, il gigante dei motori di ricerca, ha messo a segno una crescita delle entrate, del 13% nel primo trimestre a 41,2 miliardi di dollari: un segnale incoraggiante, che riequilibra il calo dei profitti, scesi a 6,8 miliardi da 8,3 miliardi, sotto le previsioni. Perfino Tesla, il gigante delle auto elettriche, nonostante i lockdown, ha messo a segno un profitto a sorpresa.
Netflix, la regina dello streaming tv, che è una delle aziende che più si è avvantaggiata dai lockdown nel primo trimestre del 2020 ha raggiunto un totale di 15,77 milioni di nuovi abbonati, segnando il record di guadagni trimestrali. L’azienda ha ora 182,9 milioni di abbonati paganti a livello globale, in crescita del 22,8% rispetto all’anno precedente. Insomma, tutti i big di Internet e dell’high tech hanno risposto ‘strabene’ al boom di domanda di servizi digitali nell’era dei lockdown e del social distancing.
Per Apple la crisi del coronavirus ha avuto un risvolto negativo. Il colosso di Seattle ha infatti annunciato ritardi di almeno un mese nella produzione di massa del suo prossimo iPhone 12 quest’autunno. Il motivo? Il calo della domanda globale e le interruzioni della produzione in Asia, il cuore della sua catena di approvvigionamento. Apple sta comunque portando avanti i suoi piani per rilasciare entro la fine dell’anno 4 nuovi iPhone, alcuni dei quali hanno connettività

La market cap

In gioco c’é una market cap complessiva, cioé un valore di mercato, da quasi cinquemila miliardi. Ai cosiddetti titoli ‘Faang’ si somma Microsoft. Alphabet vale oggi 848 miliardi, Amazon, Apple e Microsoft sono dei club da oltre mille miliardi ciascuno, Facebook vale sopra il mezzo miliardo. Netflix, con 177 miliardi di market cap, è ormai a pari merito con Disney quando si tratta di valore in Borsa.
Il colosso Usa delle vendite online Amazon in questi giorni ha fatto sapere che assumerà altri 175.000 addetti per far fronte all’ondata di ordini dovuta ai social distancing. Inoltre il gruppo di Jeff Bezos ha autorizzato le spedizioni di prodotti non essenziali da parte dei venditori terzi che operano sulla sua piattaforma. In pratica, da questa settimana Amazon acconsentirà ai venditori terzi che costituiscono il 58% del totale delle vendite Amazon, di riprendere a spedire sulla sua piattaforma prodotti non essenziali per soddisfare l’accresciuta domanda dei suoi consumatori.

I profitti di Zuckerberg

I profitti del gruppo di Mark Zuckerberg hanno in realtà leggermente deluso. Sono saliti a 4,9 miliardi, attestandosi  a 1,71 dollari per azione contro gli 1,75 attesi. Tuttavia gli utili sono saliti parecchio rispetto all’anno scorso, quando erano stati erosi dagli oneri legati a multe multimiliardarie per le violazioni della privacy. Insomma, non tutti mali vengono per nuocere, il virus ha fatto salire gli utili sotto le attese ma Zuckerberg ci ha guadagnato in utenti, in potere e in popolarità, visto che il suo gruppo, reduce dalle gravi polemiche sulle pratiche monopolistiche e sugli inadeguati controlli sulle fake news, ha approfittato del coronavirus per migliorare la sua reputazione, promuovendo la missione di connettere il mondo. In particolare, per il 35enne Zuckerberg, il virus è stata l’occasione di mettere in atto una drastica scelta di concentrazione del potere nelle sue mani, emarginando dissidenti e critici interni. In marzo Zuckerberg ha ottenuto l’uscita di scena di due esponenti del board che avevano guidato una pattuglia di membri indipendenti, l’ex ad di American Express Kenneth Chenault, e Jeffrey Zients, ex consigliere economico di Barack Obama; e’ invece entrato in febbraio un altro fedele amico di lunga data di Zuckerberg, Drew Houston, 37enne Ceo di Dropbox.