Strage di San Marco in Lamis, una condanna all’ergastolo

Condannato il presunto basista, unico imputato nel processo sul massacro del Gargano del 9 agosto 2017, nel quale morirono 4 persone. Fra queste, i fratelli Luciani, testimoni involontari

Un ergastolo è stato comminato nell’ambito del processo sulla strage di San Marco in Lamis. La Corte d’Assise di Foggia ha condannato il quarantenne Giovanni Caterino, unico imputato nel procedimento, per il massacro del Gargano in cui trovarono morte violenta il boss Mario Luciano Romito e il cognato di questi, Matteo De Palma. In quella drammatica mattina del 9 agosto 2017, vennero assassinati anche i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, lavoratori nei campi e testimoni involontari dell’agguato. L’imputato è accusato di quadruplice omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso e porto e detenzione di armi in concorso. Secondo l’accusa, si tratta del presunto basista del commando armato.

San Marco in Lamis, la strage

La sentenza è stata emessa dopo tre ore di camera di consiglio. Ed è stata accolta con soddisfazione dai familiari di Aurelio e Luigi, coinvolti per una drammatica fatalità in uno dei più feroci agguati di stampo mafioso degli ultimi anni. Dopo aver assistito all’esecuzione di Romito e De Palma (trovandosi il loro furgone poco prima di quello del bersaglio), i due fratelli tentarono inutilmente di fuggire. Inseguiti e raggiunti dai sicari, furono massacrati anch’essi senza pietà a colpi di kalashnikov. L’imputato nel processo, secondo l’accusa, aiutò i sicari a trovare e raggiungere il boss che aveva seguito per giorni. Da lui, non sono arrivate confessioni né nomi. I familiari delle quattro vittime, così come la Regione Puglia, il Comune di San Marco in Lamis e l’associazione Libera, si sono costituiti parte civile nell’ambito del processo.

L’efferatezza

Il massacro del Gargano aveva di fatto acceso i riflettori sulla ferocia della mafia locale. Pochi giorni dopo la strage, l’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti, aveva annunciato il rafforzamento delle unità investigative sul territorio, allo scopo di fronteggiare una criminalità “efferatissima e pericolosa”. La stessa autopsia svolta sul corpo dei due fratelli aveva testimoniato la brutalità degli omicidi. Aurelio, in particolare, era stato raggiunto e finito a colpi d’arma da fuoco dopo essere riuscito, pur ferito gravemente, a uscire dal suo furgone.