La conferma del massacro dei 43 studenti “desaparecidos”, avvenuta ieri in una conferenza stampa, alla società civile messicana non è andata giù: dopo le proteste dei genitori delle vittime, che sfiniti dal dolore hanno reclamato ieri che venga fatta giustizia sulla morte dei propri figli, questa mattina alcuni giovani messicani hanno dato alle fiamme una decina di auto davanti alla sede del governo dello stato di Guerrero, nel sud del Messico.
Ciò che si pretende da chi sta investigando sulla tragedia di Iguala è la verità. E questa parola, soprattutto per i genitori delle vittime, significa “prove”.
Il procuratore generale federale Jesus Murillo Karam, ieri, ha annunciato in una conferenza stampa che tre uomini arrestati nei giorni scorsi nell’ambito dell’inchiesta hanno confessato di aver ucciso, dato fuoco e disperso in mare i resti dei corpi dei ragazzi. Alcuni, tuttavia, sospettano che questo epilogo sia un modo per il governo di concludere definitivamente la “scomoda” vicenda. Amnesty International, in un comunicato, ha denunciato che questo è un “crimine di Stato”.
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