Categories: Cronaca

Il batterio New Delhi ha ucciso 30 persone in Toscana

Un killer invisibile ma letale si aggira per la Toscana e ha già ucciso quasi la metà delle sue vittime in dieci mesi. Si tratta del batterio New Delhi, un agente patogeno della famiglia delle enterobacteriacee isolato per la prima volta nel 2008. Lo avrebbe “importato” un paziente svedese che era stato curato a Nuova Delhi durante un viaggio in India, da cui il nome. A destare maggiore preoccupazione e allarme, quello toscano è il focolaio del batterio più grande al mondo finora mai registrato. La sua zona di caccia sono gli ospedali, ma si teme che presto potrà diffondersi anche fuori dalla regione. Quello che rende pericoloso questo microrganismo è la sua resistenza agli antibiotici e il fatto che colpisce principalmente i soggetti ospedalizzati più vulnerabili.

I casi

Da novembre 2018 il batterio ha colpito 708 persone, con un picco tra i mesi di marzo e luglio. Di queste, 75 si sono ammalate di infezione del sangue (sepsi). Il 40% di loro è morto. Si tratta nella maggior parte dei casi, di persone anziane già colpite da altre malattie, pazienti che si sottopongono a sedute di chemioterapia, grandi ustionati, chi ha subito interventi chirurgici invasivi. I dati sul contagio e la mortalità di questo ceppo batterico, che vive e si riproduce nell'intestino, sono stati presentati mercoledì 11 settembre nell'aggiornamento dell'Agenzia Regionale della Sanità. L'area più interessata alla diffusione dell'infenzione ospedaliera è quella Centro-Nord della Toscana, le strutture in cui sono stati osservati dei casi sono in tutto 17, 15 ospedali e due centri specialistici. Il più colpito è il policlinico Cisanello di Pisa, con 31 casi di enterobatterio, seguono gli Spedali riuniti di Livorno con nove pazienti in cui è stata riscontrata la sepsi, otto invece i casi in Versilia.

Antibioticoresistenza

Se fino a poco tempo la presenza di questo micropatogeno era più unica che rara in Toscana, uno studio del Centro europeo sulla prevenzione e il controllo delle malattie di giugno suonato l'allarme per la sua rapida propagazione e sul rischio che esca dai nostri confini. A fine luglio, in un decreto dirigenziale, la Regione Toscana ha spiegato quali fossero le cause della proliferazione del batterio. L'elevato uso di antibiotici e l'incompleta applicazione di misure che ne impedissero la trasmissione in ambiente ospedaliero tra i pazienti ricoverati in terapia intensiva, a oncologia, in cardiochirurgia e nel reparto di malattie infettive. Il gran consumo di farmaci che facciamo per stare curarci si rivela un'arma a doppio taglio contro questo batterio, che ha una caratteristica: l'antibioticoresistenza. Produce infatti l'enzima New Delhi Metallo beta-lactamase (Ndm), che gli permette di contrastare e annullare gli effetti degli antibiotici di secondo grado, tra cui quelli carbapenemici ad ampio spettro d'azione.

Le contromisure

Da diversi mesi il tema è arrivato al centro del tavolo di lavoro regionale sul Piano nazionale di contrasto all'antimicrobico-resistenza e ha sollecitato una stretta collaborazione tra gli ospedali e gli enti locali. A maggio è stata data vita a un'unità di crisi presso l'Assessorato della salute, che ha diffuso una serie di indicazioni utilli per la prevenzione e il contenimento del  batterio New Delhi. In tutti gli ospedali della Toscana si eseguono esami screening di massa per sorvegliare l'evoluzione del fenomeno. Il Corriere fiorentino, dorso locale del Corriere della Sera, riporta inoltre il parere dell'infettivologo Corrado Catalani sulla quantità di antibiotici che usiamo e sulle sue conseguenza: “Se ne usano troppo spesso, in molti casi anche attraverso autoprescrizioni, anche quando non sono necessari. Ma altrettanto spesso i cicli non vengono conclusi perché il malato una volta che sta bene interrompe la terapia”. Oltre al ricorso diretto, il medico ne sottolinea l'uso anche in altri settori: “C'è un uso smodato di antibiotici nell'agricoltura e nell'allevamento. Siamo bombardati da piccole quantità di antibiotici, i batteri si adattano e imparano a difendersi”. 

Lorenzo Cipolla

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