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Tratta, ferita da sanare ora

Oggi nel mondo si commemorano le vittime della tratta. Chi finisce nel tritacarne dello sfruttamento? Gli indifesi. Cioè, la ragazza ricattata per prostituirsi in rete e sulle strade, il bracciante agricolo che rischia la vita a temperature killer, il minore costretto a mendicare dal business dell’accattonaggio coatto, le colf e lavoratrici in nero, i manovali senza documenti nei cantieri edili.

Sono alcuni dei volti innocenti che la Medusa mafiosa confina negli angoli più dolorosi della nostra vita comunitaria. Una società che li ignora abbassa il proprio livello di umanità trasformando la marginalità in una condanna irreversibile. Lungo le rotte della tratta si consumano tragedie colpevolmente rimosse dall’Occidente opulento. Che ne è stato, per esempio, dei tanto annunciati corridoi umanitari europei con cui Bruxelles avrebbe dovuto assicurare flussi regolari, controllati e integrabili? Gli unici ingressi legali in Ue sono stati garantiti dal mondo cattolico mentre gli Stati continuano a rimpallarsi responsabilità.

Intanto si muore senza sosta nel Mediterraneo, nei deserti africani, al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, nel Myanmar travolto dalla guerra civile e dal Covid. Per non parlare poi della più rimossa e disperata delle tratte: quella nei Paesi privi di libertà nei quali i despoti occultano i dati di un’ecatombe senza nome. Troppo scomodo denunciare Paesi potenti per le migliaia di giovani asiatiche e africane e per un numero incalcolabile di minori che finiscono nei meccanismi infernali del turismo sessuale e del traffico di organi. Sembra più facile voltarsi dall’altra parte e preoccuparsi esclusivamente di proficue relazioni commerciali che includono la ben remunerativa vendita di armi ai conflitti più sanguinosi.

Fino a quando si alimenterà l’oblio attorno ai legami che avvolgono le economie di nazioni complici della tratta, sia nei luoghi di origine che di transito dei nuovi schiavi, sarà impossibile frenare la piaga globale dello sfruttamento di stampo mafioso. E non possono certo chiamarsi fuori gli ignobili “beneficiari” del mercimonio coatto e del caporalato. Non c’è guadagno lecito senza il rispetto della dignità umana, ci insegna Papa Francesco, che alle “donne crocifisse” ha chiesto perdono per le vergognose colpe dei cristiani che approfittano della loro vulnerabilità. Un “vizio schifoso”, dice il Pontefice, che riduce le più fragili tra le creature in bancomat umani di clan privi di scrupoli.

E’ in atto una crisi persino più grave di quella economica: il deficit educativo. Senza formare le coscienze alla consapevolezza che l’amore non si compra, saremo costretti a subire le conseguenze di una degenerazione della mentalità che considera acquistabili addirittura le espressioni più intime dell’individualità.

Il corpo è il tempio dello Spirito, profanarlo è un sacrilegio. Fuori e dentro il web prolifera una visione materialistica e disumana che degrada a listino dei prezzi anche le manifestazioni più sensibili dell’interiorità. Un bacio al “mercato” della “società prostituente” costa più di una prestazione sessuale. I cosiddetti “clienti”, infatti, non si accontentano più di “comprare” un corpo. Pretendono di violare un’anima.

Non c’è peccatore, sinceramente convertito, per il quale non si possano aprire le porte dei cieli. Gesù perdona l’adultera e il ladrone salito sul Calvario con lui, però le “strutture di peccato” devono essere neutralizzate da una comunità che sappia mettere i più deboli al centro della propria missione. Per don Oreste Benzi, liberatore delle schiave, il miserabile non è chi soggiace alla tratta, bensì chi ci si arricchisce.

Pubblicato su Avvenire (Clicca qui)

don Aldo Buonaiuto

Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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