I tanti doveri e i pochi diritti degli immigrati impiegati sui campi

Liliana Ocmin, componente del Consiglio di Amministrazione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha spiegato ad Interris.it le condizioni disumane in cui i lavoratori immigrati impiegati nel settore dell'agricoltura sono costretti a vivere

discriminazioni
Foto di Tim Mossholder su Unsplash A destra Liliana Ocmin

L’agricoltura in Italia rappresenta un settore importante per l’occupazione di lavoratori immigrati che spesso o non posseggono un permesso di soggiorno o pur avendolo non hanno un contratto di lavoro regolare.

Si tratta per lo più di lavoratori stagionali, vittime dello sfruttamento lavorativo e che vivono in condizioni di vita a dir poco precarie. Inoltre, nonostante la legge italiana assicuri l’assistenza sanitaria per gli immigrati regolari e irregolari, la maggior parte di loro non conosce questo diritto o non lo esercita per paura.

Interris.it ha intervistato Liliana Ocmin, componente del Consiglio di Amministrazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che ha parlato delle condizioni in cui queste persone sono costrette a vivere e a lavorare.

L’intervista

Liliana, come si presenta oggi il lavoro agricolo?

“Si tratta di un settore dove ci sono molti lavoratori irregolari, spesso con impieghi temporanei e le cui condizioni lavorative sono disumane. Secondo le stime del VI Rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL (novembre 2022), nel 2021 sono stati circa 230 mila i lavoratori impiegati irregolarmente in agricoltura, e di questi 55 mila sono donne. Il lavoro agricolo subordinato non regolare è particolarmente accentuato in Puglia, in Sicilia, in Campania, in Calabria e nel Lazio con tassi di occupazione che superano il 40%”.

Chi sono queste persone che accettano lavori nel settore agricolo?

“Nella maggior parte dei casi sono stranieri disperati che non possiedono un permesso di soggiorno e che scappano da conflitti, dalla povertà e per questo si adattano a qualsiasi cosa pur di guadagnare un pezzo di pane per se stessi e per la loro famiglia. Una cospicua parte di loro risulta ingaggiata irregolarmente, attraverso il cosiddetto “sistema del caporalato”, espressione con la quale si fa riferimento all’intermediazione, al reclutamento e alll’organizzazione illegale della manodopera nonché allo sfruttamento lavorativo in agricoltura. I caporali, senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali, fungono da intermediari con alcuni datori di lavoro, arruolando lavoratori e trattenendo per sé una parte del compenso”.

In che condizioni vivono queste persone?

“Si tratta di una situazione disumana in cui molti di loro, in prevalenza africani, vivono al limite della schiavitù, in condizioni terribili all’interno di baracche senza acqua corrente e servizi igienici. Mi viene in mente la piana di Foggia in cui centinaia di immigrati vivono in ghetti e per raggiungere il posto di lavoro vengono trasportati ammassati come bestie in un furgoncino senza aria condizionata. Nonostante tutto devono pagare per qualsiasi cosa,  per il passaggio fino al posto di lavoro, per poter ricaricare il cellulare e anche semplicemente per usufruire del bagno. Quella che vivono è una vita in cui non vengono rispettati i diritti dell’uomo e non viene considerata la loro sicurezza”.

Le donne vengono tutelate?

“Assolutamente no e la manodopera femminile immigrata in agricoltura è trattata con una bassissima valorizzazione sociale, secondo una logica spesso maschilista e padronale. Questa situazione prelude a diffusi pregiudizi, ricatti, violenze e razzismi da parte degli autoctoni nel momento in cui essi godono di posizioni di potere. Per questo noi chiediamo che durante le ispezioni ci siano figure femminili che possano avere un rapporto umano con queste lavoratrici”.

Cosa accade quando avviene un’ispezione?

“Naturalmente c’è un ammonimento nei confronti dell’azienda che li ha impiegati in modo irregolare e se l’immigrato è privo di permesso di soggiorno viene avvisata l’autorità giudiziaria. Nella maggior parte dei casi i lavoratori non a norma scappano perché temono di essere espulsi dall’Italia, ma cosi facendo perdono i loro diritti tra cui quello di percepire lo stipendio maturato. Purtroppo però il loro destino sembra segnato e si spostano un un altro campo in cui verranno sfruttati nella stessa maniera”.

Che cosa avete chiesto durante la Conferenza Internazionale del Lavoro tenutasi il mese scorso a Ginevra ?

“Le organizzazioni sindacali italiane hanno sempre controllato questa situazione con dei progetti ad hoc tra cui “Sos Caporalato” del FAI – CISL e il “SU.PR.EME. Caporalato”, pensati per smantellare questo sistema e creare una rete di legalità. Purtroppo però c’è ancora molta strada da percorrere soprattutto per quanto riguarda il furto salariale e il recupero dei salari non goduti tramite l’istituzione di un fondo di garanzia che possa assicurare l’esecutività del procedimento. Inoltre, l’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione dovrebbe essere modificato in modo da garantire che le ispezioni possano portare a un processo di regolarizzazione sicuro per i lavoratori senza che siano solo loro a pagare tutte le conseguenze. Per questo noi siamo pronti a dare il nostro contributo e rendere operative le raccomandazioni avute della Commissione Norme durante la Conferenza Internazionale del Lavoro a Ginevra”.