La strada della solidarietà. Intervista alla presidente Focsiv Ivana Borsotto

In occasione della Giornata internazionale della solidarietà, l’intervista di Interris.it alla presidente di Focsiv Ivana Borsotto

La solidarietà oggi è la strada da percorrere verso un mondo post-pandemia”, ha detto papa Francesco, “la pandemia è una crisi. Da una crisi si esce o migliori o peggiori. Dobbiamo scegliere noi. E la solidarietà è proprio una strada per uscire dalla crisi migliori, non con cambiamenti superficiali, con una verniciata così e tutto è a posto”. Una strada apparentemente in salite e da percorrere insieme, accordando a volte con fatica il passo di ciascuno nel comune cammino. La solidarietà è stata anche identificata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite come uno dei valori fondamentali e universali per la relazione tra i popoli dopo che il mondo ha conosciuto nel giro di pochi decenni due guerre mondiali, tanto da istituire la Giornata internazionale della solidarietà umana il 20 dicembre di ogni anno.

L’intervista

In occasione della edizione 2022 di questa giornata, Interris.it ha intervistato Ivana Borsotto, presidente della Federazione degli organismi di volontariato
internazionale di ispirazione cristiana
(Focsiv).

Presidente, come possiamo definire la solidarietà?

“La solidarietà per noi è innanzitutto responsabilità comune, senso di condivisione, partecipazione, sentire come propri i problemi del prossimo – sapendo che il prossimo non si può definire in base alla vicinanza o alla distanza fisica. Dopo la pandemia abbiamo la consapevolezza che il mondo è interconnesso, i mali e le sofferenze di ciascuno sono i mali e i problemi di tutti, che questioni come il cambiamento climatico, la povertà e le migrazioni richiedono soluzioni globali. Focsiv ha negli occhi il mondo, dove le asimmetrie e le diseguaglianze – di reddito, di genere, di prospettiva – aumentano.  Le diseguaglianze diventano poi a loro volta detonatori di tensioni e di conflitti che finiscono in guerre. Con Focsiv Siamo nelle periferie più lontane, sulle rotte migratorie, nei campi profughi, nelle carceri, nei Paesi martoriati dalla guerre, dove avvengono i disastri ecologici che poi diventano sociali: siamo testimoni di quanto questo mondo sia profondamente ingiusto, ma anche di atti di generosità e di speranza – abbiamola sensazione che la speranza sia tra i più poveri. Invece di alzare i muri, dovremmo essere capaci di raccontare che il mondo è anche un posto bellissimo e che i giovani si vogliono assumere la responsabilità di costruire vite migliori per sé, per le loro famiglie e per le loro comunità”.

Prima accennava alla consapevolezza del mondo interconnesso raggiunta per via della pandemia. Il mondo è uscito più solidale da quell’esperienza?

“Durante la pandemia i nostri organismi in Italia hanno saputo convertire la solidarietà in azione, con il banco alimentare per garantire i pasti, con l’accompagnamento delle famiglie con persone anziane o con disabilità, collaborando con gli ospedali. La nostra realtà, un giardino dai mille fiori, ha imparato a unire le forze e collaborare per il fine che è un mondo più giusto, per far sì che la qualità della vita delle persone migliori. Lavoriamo in Paesi dove il welfare spesso non esiste ed è l’associazionismo, locale e internazionale, che per esempio aiuta gli agricoltori a passare da un’agricoltura di sussistenza a una produzione maggiore o che porta umanità nelle carceri. Il bene bisogna farlo bene, ci vogliono capacità di analisi e professionalità. L’approccio con cui i nostri soci lavorano non è assistenziale, i nostri progetti vogliono dimostrare che è possibile moltiplicare quelle operazioni che devono nascere in collaborazione con le comunità locali. Per esempio, dietro ogni scuola che sosteniamo abbiamo in mente il sistema scolastico di quel Paese e di come sia possibile migliorarlo”.

In quali ambiti occorre costruire maggior cooperazione a livello internazionale?

“Uno degli assi fondamentali di intervento è il dialogo interreligioso, noi collaboriamo infatti con l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana. In generale il mondo vive al di sotto delle sue possibilità di cooperazione, c’è invece un capitale di esperienze profonde ed è importante confrontarsi sulle logiche d’intervento e condividere le buone pratiche. Occorre fare coordinamento e rete tra i missionari, le organizzazioni non governative, le congregazioni, per condividere le analisi e trovare insieme le risposte adatte. Oggi le grandi questioni sono due, il cambiamento climatico e la pace. In merito al primo, l’enciclica Laudato si’ ci ha chiarito che dobbiamo passare dal paradigma dello sfruttamento a quello della cura, con risposte efficaci e innovative per quanto riguarda gli stili di vita, gli stili alimentari e sostenibili, l’agricoltura. Per quanto riguarda la pace, noi siamo testimoni dei conflitti invisibili. La cooperazione dovrebbe riuscire a disinnescare le diseguaglianze, dando così ai Paesi quelle opportunità di sviluppo che potrebbero essere uno strumento di prevenzione dei conflitti. La legge 125 del 2014 recita che la cooperazione allo sviluppo è ‘parte qualificante e integrante politica estera italiana’ e questo è l’obiettivo a cui puntiamo”.

 In questi “primi” cinquant’anni di vita, come ha operato Focsiv in nome della solidarietà?

“La nostra federazione raggruppa 94 organismi di ispirazione cristiana con progetti di solidarietà e cooperazione internazionale in 80 Paesi nel mondo – prevalentemente in Africa, dove c’è una presenza capillare e continuativa di comunità. Già mezzo secolo fa gli uomini e le donne avevano capito che per rendere fruttuoso il loro lavoro era necessario unirsi. Una riflessione sorta in momento appena successivo al Concilio Vaticano II e alle encicliche ‘Pacem in terris’ e ‘Populorum progressio’, con i loro temi di giustizia, dignità delle persone e pace. Oggi come punti di riferimento abbiamo la ‘Fratelli tutti’ e la ‘Laudato si’’”.

Come saranno i prossimi cinquant’anni?

“L’elemento di continuità è la profondità della collaborazione, mentre la grande sfida sarà far sì che la anche la cooperazione internazionale sia riconosciuta come possibilità per l’Italia di stare al mondo. Abbiamo inoltre lanciato la Campagna 070 per ricordare al nostro Paese che nel 1970 era stato preso l’impegno di destinare lo 0,7% della spesa pubblica allo sviluppo e alla cooperazione internazionale. Serve un calendario vincolante per arrivare allo 0,7% entro il 2030, ora siamo 0,29. Un altro tema importante è quello delle migrazioni, siamo infatti testimoni che le politiche migratorie sono efficaci quando includono il Paese di partenza. I flussi migratori si possono governare e questa è la grande sfida della politica”.