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Stilla: “Il sistema braille si è saputo evolvere e integrare con la tecnologia”

Mettere le persone nelle stesse condizioni, tramite sistemi e soluzioni specifici, è il modo migliore per permettere loro di esprimersi nella propria vita e di dare il proprio apporto alla società. L’invenzione del braille, quasi due secoli fa, ha rappresentato per le persone cieche e ipovedenti proprio un sistema e una soluzione per mettersi al fianco di chi non ha alcuna disabilità visiva e poter accedere, quanto più possibile, agli stessi strumenti e agli stessi servizi.

Il codice

Il sistema di lettura e scrittura braille, messo a punto dal francese Louis Braille nella prima metà del 1800, è una rappresentazione tattile di simboli alfabetici e numerici che utilizza sei punti per rappresentare ogni lettera e numero, e anche simboli musicali, matematici e scientifici, ed è utilizzato dalle persone non vedenti e ipovedenti per leggere e scrivere.

Le giornate

Il 4 gennaio si celebra la Giornata mondiale del braille, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni unite in coincidenza con la data di nascita del suo inventore. Anche il nostro Paese ha sul proprio calendario un’iniziativa dedicata a questo codice. “Siamo riusciti a risvegliare la sensibilità dell’intero Parlamento italiano, che, nel 2007 ha istituito una ricorrenza civile il 21 febbraio”, dice a Interris.it Nicola Stilla, presidente dell’Associazione Club Italiano del Braille e consigliere nazionale dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti (Uici).

Presidente, com’è cambiata la percezione delle persone cieche negli ultimi decenni?

“Se prima gli si dava una mano, un aiuto, quasi in forma pietistica, oggi invece non ci si pensa più tanto. Sta venendo meno quel senso di cultura civica, che trasmetteva anche la scuola, consistente nel rispetto e nell’attenzione nei confronti delle altre persone”.

Qual è stata la portata dell’invenzione del braille?

“E’ stata una vera e propria rivoluzione che ha cambiato totalmente la vita delle persone cieche e ipovedenti. Il codice ha consentito l’accesso alla cultura, allo studio, alla formazione e alle attività, permettendo di superare i sistemi di lettura e di scrittura che all’epoca erano abbastanza complessi, soprattutto i secondi. Ancora oggi, a quasi duecento anni di distanza, il braille rimane l’unico sistema di lettura e scrittura diretto a disposizione di persone cieche o con disabilità visiva. Oggi sento spesso dire che la tavoletta braille non serve più ma ritengo invece che sia utile a sviluppare la motricità fine, cioè l’abilità di discernere col polpastrello le cose piccole, per imparare a utilizzare gli altri strumenti”.

Come questo sistema si è evoluto per stare al passo con lo sviluppo tecnologico e i cambiamenti in generale, dagli stili di vita ai servizi, e quali strumenti hanno oggi a disposizione le persone cieche e ipovedenti?

“L’evoluzione e l’integrazione sono state piuttosto semplici perché il sistema braille è un codice binario che si interfaccia in maniera funzionale con la strumentazione informatica. Tutt’ora abbiamo a disposizione diversi strumenti, da quelli ‘di allora’ come la tavoletta con il righello e il punteruolo al successivo dattilobraille, una macchina che imprime combinazioni di punti su carta, fino al più contemporaneo display braille. Quest’ultimo, che possiamo considerare un esempio di tecnologia assistita, è una sorta di schermo tattile per interfacciarsi con quello di un altro dispositivo. E’ utilizzabile sia da solo, grazie alla sua memoria interna, che collegato ad altri devices, come gli smartphone, tramite cavi o bluetooth”.

Il mondo di oggi è sempre meno tattile e sempre più digitale. Cosa comporta questo per voi?

“Qui si apre il grande discorso dell’accessibilità. Se un sito è anche riprodotto in forma testuale la persona non vedente può accedere alle informazioni sia con le sintesi vocali che grazie al display braille. Stesso discorso per le app, se l’interfaccia consente di vocalizzare quello che appare sullo schermo – cosa possibile sugli smartphone attuali. I problemi sorgono quando le applicazioni sono solo touch e non c’è modo di collegare il dispositivo al display braille. Oggi rappresentano ancora una difficoltà per le persone non vedenti i pulsanti degli ascensori oppure i terminali di pagamento pos, a meno che non sia possibile collegarli a uno smartphone”.

Quanto sono accessibili gli esercizi pubblici e quelli commerciali?

“Tranne che in rari casi, nei primi spesso si incontrano difficoltà. Per fare un esempio, i sistemi di prenotazione telefonica stanno lasciando il passo alle prenotazioni online, ma non sempre le app sono completamente fruibili. Invece negli esercizi commerciali come i supermercati sono allo studio soluzioni per agevolare l’individuazione dei prodotti sugli scaffali e la lettura dei codici impressi, alcuni pure in caratteri braille. Inoltre, per ovviare il problema di doversi spostare per andare fino ai punti vendita, magari difficilmente raggiungibili con i mezzi pubblici, alcune catene della grande distribuzione hanno introdotto la possibilità di fare la spesa online interfacciandosi con siti molto accessibili”.

Si sono fatti passi avanti per quanto riguarda le possibilità di inserimento lavorativo delle persone con disabilità visiva?

“Abbiamo sperato che la tecnologia aiutasse le persone non vedenti – in passato spesso centralinisti telefonici o fisioterapisti – a inserirsi meglio nel mondo del lavoro, ma lo sviluppo richiede sempre meno manualità e di conseguenza meno manodopera. Secondo me c’è una maggiore attenzione al profitto e un minore interesse a valorizzare le capacità della persona. Un individuo non vedente, con le giuste competenze e messo nelle giuste condizioni, può far bene come un vedente, e le aziende che hanno investito in questo ambito hanno potuto vedere come le persone cieche o ipovedenti sanno anche rispondere a una situazione di emergenza. Occorre abbandonare le diffidenze e approfondire di più le conoscenze e le competenze delle singole persone, anche la scuola deve creare condizioni di vera inclusione”.

Veniamo al mondo dell’istruzione, qual è qui lo “stato dell’arte”?

“A livello normativo è buono, ma a volte la scuola fatica a formare chi deve seguire le persone con disabilità visiva. Gli insegnanti di sostegno sono persone che si fanno carico dei problemi maggiori ma spesso non gli vengono forniti gli strumenti adeguati alla disabilità specifica dell’alunno che devono seguire. La mia preoccupazione è che gli alunni non vedenti restino isolati con i propri compiti e le proprie persone di supporto”.

Cosa occorre fare per una maggior integrazione?

“La scuola fornisca le competenze giuste per educare al meglio anche le persone con disabilità. Le aziende e gli enti del mondo del lavoro si impegnino in primo luogo a conoscere e valorizzare le persone prima di valutarle. Infine che tutti si rendano conto che non esistiamo solo noi ma ci sono anche tutti gli altri”.

Lorenzo Cipolla

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