La mia schiavitù in Italia da minorenne. Veruska racconta il dramma della tratta

Sono state 1.877 le vittime di tratta assistite dalle varie ong italiane nel 2019. Solo 42 invece i trafficanti condannati. Guardando alle vittime di tratta, l’82% di loro sono donne, sfruttate nell’industria della prostituzione. Lo riporta il Trafficking in Person Report 2020, del Dipartimento di Stato Usa, per la giornata Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, che si celebra oggi, 8 febbraio, col tema “Economia senza tratta di persone”.

Memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita

La Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone venne presentata da Papa Francesco durante l’Angelus dell’8 Febbraio 2015. “Oggi, 8 febbraio, memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita – la Suora sudanese che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima della tratta – le Unioni delle Superiore e dei Superiori Generali degli Istituti religiosi hanno promosso la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Incoraggio quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga, una piaga indegna di una società civile. Ognuno di noi si senta impegnato ad essere voce di questi nostri fratelli e sorelle, umiliati nella loro dignità“.

La maratona di preghiera contro la tratta

“Economia senza tratta di persone” è il tema scelto da Papa Francesco per questa settima edizione della Giornata. Oggi, 8 febbraio dalle 10 alle 17 in diretta streaming con traduzione in cinque lingue gli enti organizzatori – coordinati da Talitha Kum, rete delle religiose contro la tratta – si uniscono in una maratona di preghiera internazionale online.

Numerose iniziative contemporanee attraverseranno i social network, raccolte dall’hashtag: #PrayAgainstTrafficking. Tra queste, la Comunità Papa Giovanni XXIII segnala un appuntamento speciale a Venezia, dove alle 17:30, presso l’oratorio di San Giovanni Battista di Rio Terà dei Catecumeni a Dorsoduro, il patriarca Francesco Moraglia celebrerà la messa a pochi metri dalla grande Basilica della Madonna della Salute, dove è stato celebrato il battesimo di Santa Giuseppina Bakhita.

Nel mondo sono 40 milioni le vittime di tratta

Nel mondo sono oltre 40 milioni le vittime di tratta. Tra queste circa il 72% sono donne, il 23% minori. Lo evidenziano i dati presentati lo scorso 6 febbraio al webinar dal titolo “Tratta, prostituzione, schiavitù. Nuove frontiere e nuove sfide” organizzato da Caritas Ambrosiana, Centro Pime di Milano e Mani Tese, in collaborazione con Ucsi Lombardia.

Fra le principali finalità della tratta vi sono lo sfruttamento sessuale (più della metà) ed il lavoro forzato (oltre un terzo) per un giro di affari che è intorno ai 150 miliardi di dollari annui. In questi ultimi anni il fenomeno della tratta è cambiato anche in Italia, specialmente per quanto riguarda la prostituzione coatta. Inoltre – anche a causa della pandemia – si è ulteriormente spostato dalla strada all’indoor e all’online, rendendo le vittime ancora più invisibili, inavvicinabili e vulnerabili. Lo confermano i dati di Escort Advisor  che parla di 2 milioni e 300 mila utenti al mese solo in Italia, a luglio 2020.

Legge che punisca i clienti

In Italia ancora non esiste una legge che riconosca la responsabilità dei clienti, nonostante le ripetute indicazioni europee in tal senso (Vedi ad esempio: relazione della Commissione Europea sulla tratta, 3/12/2018). L’ultimo Piano nazionale antitratta italiano aggiornato è quello del 2016-2018 e si attendono nuovi provvedimenti.

La Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi da 27 anni lotta al fianco delle donne in schiavitù. Sostiene l’adozione di una legge ispirata al “modello nordico”, adottato anche in Francia, che applica sanzioni ai clienti e che riconosce come vittime le persone che si prostituiscono.

La petizione “questo non è il mio corpo”

Possono aderire alla campagna cittadini, associazioni ed istituzioni. Per questo, ha promosso una petizione “Questo è il mio corpo” con la quale si chiede al Parlamento Italiano di approvare una legge che, sull’esperienza di altre legislazioni europee, punisca il cliente dello sfruttamento sessuale, per togliere così alle organizzazioni criminali la fonte di guadagno e per combattere lo sfruttamento di persone vulnerabili.

Colpire la domanda per contrastare le conseguenze devastanti che la prostituzione crea. Le donne che si prostituiscono arrivano da ambienti familiari e sociali degradati, hanno alle spalle storie di povertà, violenza e abusi. Non ci può essere libertà in un comportamento che nasce da una catena di sopraffazioni“.

La testimonianza di Veruska

“Nessuna donna nasce prostituta – diceva don Oreste Benzi -. C’è sempre qualcuno che ce la fa diventare”. Lo testimonia a In Terris con coraggio una delle tante ragazze salvate dal racket della prostituzione, strappate dai marciapiedi o dal chiuso dei night italiani da uomini e donne, laici e religiosi, di buona volontà.

Storie terribili, raccontate da don Aldo Buonaiuto nel libro “Donne crocifisse” (Rubbettino Editore, 2019) con prefazione di Papa Francesco. Il sacerdote, direttore e fondatore del quotidiano on line “In Terris” e membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, descrive la vergogna della tratta vista e raccontata dalla strada. Quella strada dalla quale è stata strappata Veruska (nome di fantasia), una ragazza che oggi non ha neppure 20 anni. Era minorenne quando partì da casa sua (nei Balcani) alla volta dell’Italia.

Veruska, perché lasciasti la tua famiglia?
“Eravamo molto poveri. Io ero la più grande di quattro figli. Quando mia madre si ammalò, perdendo il lavoro in fabbrica, ci ritrovammo senza entrate. Lo Stato non ci assisteva e non poche sere rimanevamo senza cibo. Ricordo le notti insonni e il pianto dei miei fratellini che non riuscivano ad addormentarsi per la troppa fame”.

Come riuscivate a sopravvivere?
“A fatica. Io, a volte, andavo ad arraffare qualcosa al mercato: verdura mezza marcia gettata nei cassoni e un po’ di frutta caduta dalle bancarelle. A volte, qualcuno ci regalava un pezzo di pane. Carne o cioccolata mai, avevamo un’alimentazione insufficiente. Poi arrivò un uomo in casa nostra”.

Chi era quest’uomo?
“Si presentò come un nostro zio. In realtà, era un conoscente di un cugino di nostro padre. Il mio papà soffre di alcolismo, ha molti amici strani, perciò non ci stupimmo di questo presunto zio”.

Cosa vi disse?
“Quel primo giorno non ci disse niente, ma ci regalò dei soldi. Ci sembrava una persona buona: finalmente qualcuno che capiva la nostra situazione disperata e ci tendeva una mano”.

Era davvero così?
“Poi scoprii di no, ma troppo tardi. Una volta conquistata la nostra fiducia, lo ‘zio’ disse a mia madre che mi avrebbe portata in Spagna, da una sua parente che aveva due bambini e che cercava una baby sitter. Non importava se ancora non avevo finito la scuola e non parlavo la lingua: avrei imparato tutto lì, a casa loro”.

Voi ci credeste?
“Sì, noi ci credemmo perché lui era l’unico che ci aveva realmente aiutato regalandoci dei soldi. Anche mio padre mi disse di andare e di guadagnare qualcosa da inviare poi a casa. Io non ero felice di lasciare i miei fratellini, ma mia madre stava male e loro facevano la fame. Quale altra scelta avevo?”.

Cosa successe poi?
“Partimmo di sera e viaggiammo molte ore, praticamente tutta la notte. Io dormivo mentre passammo la frontiera. Non capii dunque dove fossimo realmente diretti”.

Dove vi ritrovaste?
“Quando mi svegliai mi ritrovai in Italia, in Emilia Romagna. Altro che Spagna! Io non capivo perché avessimo cambiato strada. Inoltre, non parlavo una parola di italiano, facevo fatica a leggere i cartelli – il mio alfabeto è il cirillico – non avevo un soldo e scoprii che i miei documenti erano passati di mano dal fantomatico ‘zio’ a un perfetto estraneo”.

Come avvenne il passaggio di consegna?
“Mio ‘zio’ si fermò in un autogrill, mi fece scendere dalla macchina e mi disse di salire in un furgone parcheggiato lì accanto. Aveva i vetri oscurati e il motore acceso. Mi disse che c’era stato un cambio di programma, avrei lavorato in una famiglia italiana, sempre – beninteso – come baby sitter. Mi disse anche di non preoccuparmi dei vestiti, me li avrebbe portati lui in serata nel nuovo appartamento. Salii nel furgone con un po’ di apprensione, ma ancora mi fidavo dello ‘zio’ tanto raccomandatomi da mio padre. Una volta salita, vidi mio zio consegnare i miei documenti all’autista che, in cambio, gli diede una mazzetta di soldi. Tanti soldi!”.

“Poi l’autista mi portò in un grande palazzo, una specie di grattacielo. C’erano delle persone di origine africana all’entrata. Stavano lì, a controllare chi entrava e chi usciva. E c’era un gran via vai di ragazzi, anche giovanissimi, che poi scoprii essere tossicodipendenti che andavano a comprarsi le dosi di droga. L’autista mi portò fino ad uno degli appartamenti. Suonò il campanello e mi aprì uno degli uomini più grossi e spaventosi che avessi mai visto: era una montagna umana e aveva uno sguardo terrificante! L’energumeno diede un bel po’ di banconote all’autista in cambio dei miei documenti e lo liquidò. Io entrai in quella che doveva essere la mia nuova casa: una volta chiusa la porta alle spalle, iniziò l’incubo”.

Cosa successe una volta rinchiusa lì dentro?
“Fu subito evidente che quella non era una casa con bambini. Non c’era nessuna mamma, né nessuna tavola imbandita. Solo sporcizia, bottiglie vuote di alcolici per terra, sigarette e siringhe sui tavoli. E uomini. Molti uomini, di tutte le razze. Quello che successe dopo vorrei tanto riuscire a dimenticarlo… ma ancora mi sveglio la notte urlando, ricordando le loro mani sul mio corpo, le violenze, le botte”.

“Durante le violenze, ad un certo punto svenni. Rinvenni molte ore dopo, ancora sul pavimento dove mi avevano lasciata. Avevo ecchimosi, dolori lancinanti al ventre e sangue secco in varie parti del corpo e del viso, testa e naso compresi. Era ormai sera, ero a digiuno da molte ore. Ma – al calare della notte – mi mandarono in strada”.

Come avvenne il trasferimento?
“Mi portarono col furgone lungo strade buie e mi fecero scendere sul marciapiede di una grande strada, un lungo rettilineo. Lì, ogni pochi metri c’era una ragazza semi nuda, con gonne cortissime e canottiere leggere nonostante il freddo. Mi dissero che dovevo solo dire ‘sì’ e riportare i soldi, almeno 500 euro a sera. Io non capii cosa dovevo fare, ma lo cappi col primo cliente che – noncurante del fatto che fossi evidentemente ferita e minorenne – pretese un rapporto sessuale. Come lui, anche tutti gli altri uomini che si approfittarono di me quella prima terribile notte”.

Che tipo di persone erano i tuoi clienti?
“Purtroppo, di tutti i tipi. Dal ragazzino con lo scooter al vecchio con l’ape; dall’uomo con la fede al dito al gruppo di trentenni che chiede cose inenarrabili, come fossimo pezzi di carne al macello”.

Credi che i clienti abbiano una responsabilità nella tratta?
“Assolutamente sì! Se non ci fossero loro, se cioè non ci fosse la domanda, non ci sarebbe neppure l’offerta e tante ragazze non verrebbero rapite, minacciate e picchiate dai trafficanti di esseri umani, né violentate dai cosiddetti clienti. Solo loro la causa principale di questo scempio”.

Come sei riuscita a scappare?
“Io pregavo, pregavo tanto che Dio mandasse qualcuno a salvarmi. Una notte, da un’auto, scese un prete della Comunità Papa Giovanni XXIII, don Aldo Buonaiuto, che mi propose di scappare. Io avevo da poco compiuto 18 anni e, come ‘regalo’, i miei aguzzini mi avevano picchiata a sangue perché non volevo tornare in strada. Non ne potevo davvero più. Il dolore fu più forte della paura e quella notte scappai con lui. Venni portata in una comunità protetta dove c’erano – questa volta veramente – un padre e una madre che si presero cura di me, curando le ferite esterne ed interne. Alla fine, decisi di denunciare quegli uomini che – dal mio Paese – mi avevano portato in Italia e poi buttata su un marciapiede”.

Vuoi fare un appello finale?
“I miei sfruttatori sono finiti in prigione. Ma i clienti no: loro sono ancora liberi di fare del male a tante ragazze. Ogni notte prego per queste ragazze, alcune poco più che bambine! Il mio appello è ai governanti di tutta Europa. Vi prego: salvate le donne dalla strada, fermate la tratta!”.