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Sant’Egidio, ecco dove nasce il “grido di pace”. Lo spirito d’Assisi al servizio della comunità internazionale

Lo spirito di Assisi è alla base del “grido di pace“. Ad alimentarlo sono i volontari di Sant’Egidio. Da oltre mezzo secolo in prima linea nel dialogo interreligioso e nell’accoglienza. Papa Francesco, sulle orme dei suoi predecessori Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, fa proprio il carisma “no war” della comunità fondata da Andrea Riccardi e presieduta da Marco Impagliazzo. Si conclude oggi, con la preghiera di Jorge Mario Bergoglio al Colosseo, l’incontro internazionale di Sant’Egidio. Alla tre giorni dell'”Onu di Trastevere” hanno partecipato le grandi religioni. Insieme a rappresentanti del mondo della cultura e delle istituzioni provenienti da oltre 40 Paesi. L’appuntamento della Comunità di Sant’Egidio si è aperto domenica. E’ proseguito anche ieri. E si chiude appunto oggi pomeriggio con la preghiera per la pace delle religioni al Colosseo. A cui presenzierà Papa Francesco. E proprio il Pontefice durante l’Angelus ha invitato i fedeli a “continuare a pregare per l’Ucraina così martoriata”. E a unirsi spiritualmente a “questa grande invocazione a Dio“.
Il professor Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio (Copyright: @santegidionews)

Pace in Ucraina

La pace in Ucraina è possibile. Va cercata con il dialogo e l’impegno di tutti. Ma deve essere una pace giusta, di cui deve essere Kiev a decidere i termini. E fino ad allora il popolo aggredito ha diritto di difendersi e va sostenuto. Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron hanno lanciato domenica il loro “grido della pace”. In sintonia con il titolo scelto per l’annuale conferenza sulla pace promossa a Roma dal movimento laicale. Mattarella ha sollecitato “un impegno collettivo della comunità internazionale”. Per valorizzare “il dialogo. I negoziati. Il ricorso alla diplomazia in luogo delle armi”. Perché “non esiste una ‘guerra santa’. Deve esistere, invece, una ‘pace santa’. E le guerre hanno un effetto ‘domino’, moltiplicatore. Le guerre sono contagiose“. Il capo dello Stato ha ricordato “la sciagurata guerra mossa dalla Federazione Russa contro l’Ucraina”. Definendola una “sfida diretta ai valori della pace”. Un salto nel buio che “stravolge le regole, i principi e i valori della vita internazionale“. E per questo Sergio Matterella ha invocato “una pace che non ignori il diritto a difendersi”. E che “non distolga lo sguardo dal dovere di prestare soccorso a un popolo aggredito”. Mattarella è stato accolto da un lungo applauso al suo ingresso al Centro Congressi La Nuvola di Roma. E anche il suo omologo francese Macron gli ha battuto convintamente le mani.

Scelta “no war”

All’apertura dell’incontro lo scambio di saluti tra Mattarella e Macron tra gli applausi della platea. Nelle prime file il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi. Il cardinale vicario di Roma, monsignor Angelo De Donatis. Il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi. E diversi nuovi ministri del governo Meloni. Adolfo Urso. Matteo Piantedosi. E il titolare degli Esteri Antonio Tajani. Che ha assicurato: “Lavoreremo sempre insieme all’Unione Europea e alla Nato. Non c’è pace senza giustizia”. Poi è stato il momento del presidente francese. Dal palco l’inquilino dell’Eliseo ha annunciato che “c’è una prospettiva di pace. Esiste, esisterà la pace a un certo punto”. Ma ha avvertito: “Vogliamo che sia il popolo ucraino a scegliere il momento e i termini della pace”. Anche perché “non sono convinto che questa sia la guerra di tutto il popolo russo”. E quindi “bisogna parlare al popolo russo, alle coscienze“. Macron ha ammesso: “Io ce l’ho messa tutta in questi anni per dialogare con il presidente Putin”. Però “questa guerra è frutto di un nazionalismo esacerbato. Alimentato dal potere russo.  E che si è nutrito dell’umiliazione scaturita dalla distruzione dell’impero sovietico“.

Spirito di Assisi

All’origine del “grido di pace” di Sant’Egidio c’è, dunque, lo spirito di Assisi. Veniva da lontano, l’idea di una “via religiosa alla pace”. A lanciarla, per primo, era stato Dietrich Bonhoeffer. Infuriava il nazismo e l’eroico pastore luterano – fatto più tardi uccidere da Hitler – aveva proposto un’Assemblea mondiale delle Chiese cristiane. Per gridare “la pace di Cristo al mondo impazzito e teso ad autodistruggersi”. Cinquant’anni dopo, la proposta era stata ripresa e attualizzata da un fisico e filosofo tedesco, Carl Friedrich von Weizsäcker. Il quale ci aveva scritto un libro ed era andato a parlarne con Giovanni Paolo II. Karol Wojtyla era pienamente d’accordo. Anche perché, appena eletto, aveva voluto incontrare il patriarca ortodosso di Costantinopoli. Intendendo confermare l’impegno irrevocabile della Chiesa cattolica nella ricomposizione dell’unità cristiana. Era andato anche nella Germania federale .Primo Papa a mettere piede su quella terra dal tempo della Riforma. Era andato in Inghilterra, patria dell’anglicanesimo. Riuscendo a smantellare gli ultimi residui di anti-papismo. E, nello stesso tempo, aveva ridato impulso al dialogo interreligioso. Viaggiando dall’India (induismo) a Casablanca (islam). E compiendo la storica visita alla sinagoga di Roma. Viaggi e contatti erano stati estremamente istruttivi per papa Wojtyla. Anzitutto, era emerso chiaramente come il dialogo ecumenico non potesse consistere soltanto nell’incontro tra due Chiese a metà strada. E quindi nell’equilibrio tra i rispettivi compromessi. Ma al contrario, dovesse partire dal comune patrimonio di fede.

Sapienza di pace

Non solo, ma, allargando il discorso all’intero mondo religioso, Giovanni Paolo II aveva maturato una convinzione. E cioè che la “sapienza” di Dio, anziché riservata solamente ad alcuni, fosse una porta spalancata a tutti gli uomini. Dunque, un punto di convergenza in cui i credenti delle diverse religioni avrebbero potuto riconoscersi come figli di
uno stesso Padre. E addirittura, come fratelli. Una preghiera mondiale per la pace. In più, c’era da tener conto del continuo aggravarsi della situazione internazionale. Due Paesi islamici, l’Iran e l’Iraq, erano in guerra tra di loro. Con i soldati dei rispettivi eserciti che invocavano lo stesso Dio. E perciò, se le religioni avessero continuato a combattersi, o
anche solo a ignorarsi, avrebbero perso credibilità nel parlare di pace. Fu importante che, in quel momento, Roma avesse messo definitivamente da parte l’esclusivismo cattolico. Retaggio del tempo in cui si riteneva unica garante dell’ordine mondiale. E avesse riconosciuto a tutte le Chiese e le religioni una funzione ugualmente decisiva per la riconciliazione tra gli uomini e tra i popoli. Ma non era certo che questo potesse bastare. Alla fine, Giovanni Paolo II ebbe un quadro preciso. E ruppe ogni indugio: “Una preghiera di tutte le religioni per la pace, ecco che cosa ci vuole”. E decise che la città di san Francesco fosse la sede più adatta per un evento del genere. E così fu.

Senza precedenti

Per la prima volta, il 27 ottobre del 1986, ad Assisi, insieme i rappresentanti di tutte le religioni. Più di quattro miliardi di donne e di uomini, si trovarono a pregare nello stesso luogo. Nello stesso momento. Per chiedere all’Altissimo il dono della pace. Le preghiere
erano diverse. Diverso il modo di pregare. Diverso anche il “destinatario”. Alcuni rivolgendosi a un Dio unico. Altri ad un Assoluto impersonale, senza nome. I musulmani pregavano il “Dio grande”, Allahu Akbar. Mentre i pellirosse, fumando il calumet della pace,
invocavano il “Grande Spirito”. Eppure, malgrado la molteplicità delle “voci”, e il doveroso rispetto della identità di ogni esperienza personale, si ebbe una chiara sensazione. Ossia quella che ci fosse una comunione fraterna. Una straordinaria armonia. Quella preghiera – dove, come in tutte le preghiere, avviene l’incontro tra Dio e l’uomo – non aveva precedenti. E obbligò le religioni a un esame di coscienza, a un atto di purificazione. Impegnandole a ripensare le cause all’origine dei conflitti. E dunque a tornare a essere costruttrici di una cultura di pace. E a ripudiare per sempre ogni forma di violenza. Ogni legittimazione della guerra, del terrorismo.

Spartiacque

La Giornata mondiale di preghiera per la pace fu onorata dalla sospensione delle guerre. In tutto il mondo, non una sola vittima negli scenari bellici. Certamente l’iniziativa più audace, più coraggiosa, più “nuova” di Giovanni Paolo II. Ma anche la più contestata. Lo stesso Karol Wojtyla, seppure in tono scherzoso, raccontò di come “per poco non lo scomunicassero”. Alcuni settori del cattolicesimo protestarono per il presunto sincretismo. Per l’aver messo le religioni tutte sullo stesso piano. Ma non era stato così. Invece, quella Giornata rappresentò come uno spartiacque nella storia dei rapporti tra le religioni. Dopo secoli di divisioni, di contrasti, di incomprensioni. Ed è stato un grande merito della Comunità di Sant’Egidio, l’aver tenuta accesa la fiaccola di Assisi. E averla portata in giro in tutto il mondo. Fino allo stop alla guerra in Ucraina.

Giacomo Galeazzi

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