Mauceri: “Il richiamo ai doveri della pace dell’enciclica Pacem in Terris è ancora attuale”

In occasione della Giornata internazionale della Pace, l’intervista di Interris al dottor C. Alessandro Mauceri, Segretario Scuola Nazionale Ambiente Movimento Azzurro

La Campana della pace suona due volte l’anno, la prima nel primo giorno di primavera e la seconda in occasione della Giornata internazionale della pace, il 21 settembre. Quest’anno il secondo rintocco si è sentito con un po’ di anticipo nella sede delle Nazioni unite, il 16 settembre, ma non è lo scarto di qualche giorno che fa la differenza, perché mai come quest’anno per il mondo è importante che tutti sentano, con l’orecchio e con il cuore, il suono della pace.

L’intervista

Per la 41esima edizione della Giornata internazionale della Pace, l’intervista di Interris al dottor C. Alessandro Mauceri, segretario Scuola Nazionale Ambiente
Movimento Azzurro.

Come possiamo definire cos’è la pace?

“Per molte persone, ‘pace’ è semplicemente il contrario di ‘guerra’, magari con qualche riferimento ai rapporti internazionali. Per la Bibbia, questa parola ha un significato molto più ampio: la parola ebraica usata per ‘pace’, shalom, include i concetti di totalità o completezza, di successo, di appagamento, di integrità, di armonia, di sicurezza e di benessere. Tutti aspetti, a ben pensarci, strettamente legati alla vita senza guerre. E che ben si sposano con i principi che, il 30 novembre 1981, con la risoluzione 36/67, portarono l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a decidere di celebrare la Giornata Internazionale della Pace ogni terzo martedì del mese di settembre. Solo dopo, nel 2001, con la risoluzione 55/282, si decise di rendere fissa questa data e celebrare la Giornata Internazionale della Pace il 21 settembre. In quell’occasione, le Nazioni Unite invitarono tutti i paesi a rispettare la cessazione delle ostilità e a commemorare questa giornata attraverso attività educative e di sensibilizzazione sul tema della pace”.

Oltre alla guerra in Ucraina, quanti altri conflitti ci sono in corso nel mondo?

“Purtroppo l’invito delle Nazioni Unite non sembra essere stato ascoltato da molti: attualmente, nel mondo,  si stanno combattendo decine di guerre e conflitti armati, secondo alcuni almeno 59. Al di là dell’invasione dell’Ucraina, si combatte in Afghanistan, in Libia, nel Myanmar, in Palestina, in Nigeria. Ci sono guerre iniziate e mai finite: come quella tra India e Pakistan, tra l’altro particolarmente preoccupante perché entrambi i paesi dispongono di ordigni nucleari. In alcuni paesi, per intere generazioni, ‘essere in guerra’ è la tragica normalità, si pensi per esempio al conflitto tra israeliani e palestinesi. Quasi sempre, la causa di una guerra è da ricercare in interessi economici o nel possesso di risorse strategiche, come i conflitti che vessano il continente africano, o territoriali. In qualche caso a scatenare una guerra sono i giochi geopolitici delle potenze globali, come in Afghanistan.  C’è anche chi ha cercato di classificare le guerre in base al numero di morti che causano: ‘guerre maggiori’, ‘guerre’ e ‘conflitti minori’. Al primo gruppo appartengono le guerre in cui perdono la vita oltre diecimila persone ogni anno. Al momento sarebbero almeno cinque guerre di questo tipo in corso nel mondo: il conflitto in Afghanistan, la guerra civile in Myanmar, la crisi dello Yemen, la guerra russo-ucraina e il conflitto del Tigray, in Etiopia. Indipendentemente dal numero di morti che causano, però, tutte le guerre, nessuna esclusa, hanno conseguenze sociali devastanti. Distruzione, fame, instabilità economica, carestie, bassi livelli di educazione, apolidia e persino milioni di persone senza identità legalmente riconosciuta accomunano tutte le guerre. Piaghe che restano aperte per decenni, a volte per secoli, anche dopo la fine degli scontri armati. Ad esempio, nello Yemen, dopo la resa dei paesi occidentali e la fuga precipitosa degli alleati, almeno 16,2 milioni persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare. E i tassi di malnutrizione tra donne e bambini sono tra i più alti del mondo”.

Quante persone sono costrette a fuggire dal proprio Paese a cause della guerra?

“Molte delle persone che scappano da territori di guerra non lo fanno per la guerra in sé e per sé, ma per la carenza di risorse alimentari o idriche che ne conseguono. Alla fine del 2021, le persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni di diritti umani erano 89,3 milioni. L’8% in più dell’anno precedente e oltre il doppio rispetto all’ultimo decennio. in basei dati rapporto annuale dell’Unhcr Global Trends. Nel 2022,  dati ufficiali diffusi dall’Unhcr dicono che, nell’ultimo periodo, nonostante gli sforzi compiuti, il numero di persone in fuga nel mondo ha raggiunto un nuovo record. Una crescita che ha reso insufficienti le risorse di enti come l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati. E spesso è proprio la mancanza di aiuti a causare fenomeni migratori. Nell’ultimo anno, l’invasione russa dell’Ucraina – che ha causato uno degli esodi forzati di più ampia portata e quello in più rapida espansione dalla Seconda Guerra Mondiale – insieme ad altre emergenze, dall’Africa all’Afghanistan ad altre aree del mondo,  hanno portato questa cifra a superare la drammatica soglia dei 100 milioni. Una situazione destinata a peggiorare: secondo la Banca Mondiale, in 23 paesi sono 850 milioni le persone che vivono in paesi in guerra. Contemporaneamente, carenze alimentari, inflazione ed emergenza climatica stanno aggravando la già difficile condizione delle persone, riducendo le capacità di risposta umanitaria proprio in una fase in cui le prospettive di raccogliere fondi, in numerose situazioni, appaiono cupe. Nel 2021, i rifugiati propriamente detti, in base alla definizione della Convenzione di Ginevra, sono stati 27,1 milioni. A loro si aggiungono 53,2 milioni di sfollati interni; 4,6 milioni di richiedenti asilo e 4,4 milioni di venezuelani fuggiti all’estero – ma non rifugiati, perché il Venezuela non è un paese in guerra. Aspetto non secondario, l’83 per cento dei rifugiati sono accolti da paesi a reddito basso o medio. Molte volte, paesi confinanti col proprio paese d’origine nella speranza di poter tornare a casa”.

Quali sono altri rischi e pericoli della pace?

“Oltre alle guerre, i maggiori rischi per la pace nel mondo  derivano dalle crisi economiche, dalle crisi ecologiche, dai cambiamenti climatici e dalle sfide migratorie. Nel 2020, Miroslav Jenča, Segretario Generale aggiunto dell’Onu per l’Europa, l’Asia Centrale e le Americhe, affermò  ‘l’emergenza climatica generata dal riscaldamento globale, sta esacerbando i rischi esistenti per la pace e la sicurezza internazionali, mentre ne crea anche di nuovi’. Questo è uno dei pericoli per la pace. Già nel 2019, durante i lavori del secondo Forum de Paris sur la Paix, erano stati indicati i principali rischi per la pace definiti ‘crepe’. ‘Crepe del contratto sociale’, ‘crepe della solidarietà’, paura dello ‘straniero’, flussi migratori, quasi sempre oggetto di speculazioni a fini politici. E poi quelle legate alla frattura tra le risorse a disposizione sul nostro pianeta e i suoi abitanti: da molti anni è in atto uno sfruttamento insostenibile delle risorse della Terra. Anche questo comporta seri rischi per la pace: in diversi paesi, la voglia di accaparrarsi delle risorse è causa di conflitti e scontri. Anche il gap creato dai livelli di sviluppo è un rischio per la pace: le nuove tecnologie sono una risorsa ma possono creare una crescita delle ineguaglianze che, a sua volta, può aumentare i rischi per la pace nel mondo”.

Il tema dell’edizione della Giornata internazionale della Pace di quest’anno è il razzismo. Quali danni arreca alla società e come si può contrastare?

“I segni di un ritorno al razzismo sono sempre più frequenti. In Italia e nel resto del mondo. Disuguaglianze economiche e guerre, spesso, nascondono una profonda incomprensione razziale. Ancora oggi, anche in paesi ‘sviluppati’ o presunti tali, il razzismo è più diffuso di quanto non si pensi. Spesso le disuguaglianze prendono avvio da un soffuso odio razziale che destabilizza ‘le società, mina le democrazie, erode la legittimità dei governi’ come ha detto il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres. I segni di questo fenomeno sono inequivocabili. Spesso alle frontiere emergono profonde discriminazioni razziali. Anche in Italia. Basti pensare al diverso trattamento riservato ai profughi e ai rifugiati che arrivano dal Medio Oriente o dall’Africa rispetto all’accoglienza riservata agli sfollati dall’Ucraina. Nel nostro Paese sono presenti quasi 16.500 minori stranieri non accompagnati, in base ai dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 31 Luglio 2022, e di questi meno di un terzo sono ucraini. Eppure per loro è stata istituita la figura del Commissario Straordinario per i minori ucraini non accompagnati. Per gli altri, per i minori che arrivano dall’Africa o dal Medio Oriente o da altri paesi no”.

Quali sono gli strumenti della comunità internazionale per la pace e la nonviolenza?

“Al di là delle manifestazioni estemporanee, il percorso che ha portato (o meglio che avrebbe dovuto portare, vista la situazione attuale) alla pace è iniziato con l’adozione della Carta delle Nazioni Unite, nel 1945: da allora, è cominciato un processo di ‘standard setting’ del diritto alla pace. Negli anni, si è passati da approcci di natura prevalentemente politica ad approcci più specificamente giuridici che prevedevano il concetto di ‘pace’ come diritto e, di conseguenza, come un obbligo per gli stati. Concetti che avrebbero dovuto trovare attuazione nella Dichiarazione sul Diritto alla Pace. Oggi, il diritto alla pace fa riferimento a due documenti: la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Entrambi questi documenti ribadiscono il legame tra pace e diritti umani. Ma sono stati molti i passaggi intermedi. Dall’adozione della Dichiarazione sulla Preparazione delle Società a Vivere in Pace del 1978, l’enfasi sulla pace come dovere per gli stati è diventato sempre più importante. La Dichiarazione sul Diritto dei Popoli alla Pace, adottata dall’Assemblea Generale nel 1984, ha ribadito che tutti i popoli hanno il ‘sacro’ diritto alla pace. Oggi la pace è un ‘obbligo fondamentale’ per ogni stato. Anche al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, è riconosciuto il diritto alla pace: dal 1986, è giuridicamente vincolante tra i paesi che hanno sottoscritto la Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli“.

Quanto è economicamente conveniente la pace rispetto alla guerra?

“Rispondere a questa domanda, purtroppo, non è facile. Se si pensa alle somme stanziate ogni anno dai paesi industrializzati per armi e armamenti, si potrebbe pensare che fare la guerra è economicamente conveniente per alcuni governi. Ma se si considerano i costi generali delle guerre, a cominciare da quelli per la ricostruzione, e i danni causati dalla distruzione di interi paesi appare evidente che non è così. E poi ci sono i costi collaterali delle guerre: basti pensare ai costi, anche economici, legati ai flussi migratori. Ma il fattore più importante è certamente il costo in termini di vite umane: è incalcolabile. E questo sposta innegabilmente l’ago della bilancia a favore della pace e lontano dalla guerra”.

Quanto è attuale ancora oggi, a quasi sessant’anni di distanza, l’enciclica di papa Giovanni XXIII Pacem in Terris e quali erano i suoi aspetti innovativi?

“Sono passati cinquantanove anni dall’11 aprile 1963 quando venne pubblicata, per iniziativa di Papa Giovanni XXIII, l’enciclica Pacem in Terris. Un documento innovativo, e per questo forse non immediatamente compreso da tutto il mondo cattolico.   Ancora oggi, il richiamo ai doveri della pace dell’enciclica Pacem in Terris è di grande attualità. Come per i documenti approvati dalle Nazioni Unite, la prospettiva di una umanità capace di mettere al bando le guerre appare lontana. L’aspirazione contenuta nell’enciclica di poter costruire e diffondere una cultura basata sulla pace non viene vista come un obbligo ma piuttosto come un processo graduale, politico e spirituale. Un percorso che dovrebbe essere basato sul dialogo fra i diversi. Pacem in Terris andava oltre i confini del mondo cattolico, si rivolgeva a ‘tutti gli uomini di buona volontà’, credenti e non credenti, cristiani o di altre religioni. Temi che oggi possono sembrare scontati ma che allora (in piena Guerra Fredda) non lo erano affatto. L’enciclica di Papa Giovanni XXIII mise in chiaro quale doveva essere il ruolo della Chiesa nel mondo diviso tra bene e male. Una divisione che oggi, in un pianeta costellato di guerre e conflitti armati appare quanto mai realistica. Ancora oggi molti governi sembrano aver dimenticato di aver sottoscritto e ratificato decine di norme e leggi sul riconoscimento dei diritti umani e sulla pace. E di essersi illusi di poter vivere in un mondo senza Pace”.