Il caso Quebec: la preoccupante deriva eutanasica del Nord America

Il protocollo per l'accesso alle terapie intensive dello Stato canadese ha destato sconforto e stupore: si riapre il tema delle "vite degne di essere vissute"

Sconcerto e sconforto ha destato lo scoop di Avvenire sul protocollo per l’accesso alle terapie intensive messo a punto dallo stato canadese del Quebec. Il documento, distribuito a medici e ospedali, esorta in caso di carenza di letti, a negare un respiratore a una persona affetta da Sindrome di Down, Parkinson, Sla o grave disturbo autistico. Si tratta dell’ennesima conferma della deriva mortifera che Papa Francesco ha sempre definito come “società dello scarto”. Una via socialmente accettabile e camuffata di quell’eugenetica di stato che mira all’eliminazione dei soggetti più deboli e improduttivi.

Una tragica precedenza

Secondo quanto riporta il quotidiano della Cei, il testo risale al primo aprile ma, inizialmente, l’amministrazione della provincia francofona canadese ne ha messo a disposizione del pubblico solo una parte, rifiutandosi di pubblicare i criteri di esclusione stabiliti nelle appendici. Solo più di due mesi dopo l’entrata in vigore del protocollo l’opposizione liberale del Quebec e le associazioni per i diritti dei disabili hanno preso visione dei parametri che permettono a un medico di scegliere a chi dare la precedenza in caso di scarsità di risorse. Avvenire ha infatti visionato il protocollo grazie alla Société Québécoise de la déficience intellectuelle, Sqdi, che ha di recente lanciato una petizione per chiedere al primo ministro del Quebec, François Legault, di rivedere il documento.

Criteri di esclusione

I primi di giugno si sono mobilitati anche i deputati liberali, denunciando all’Assemblea nazionale la violazione della Carta dei diritti e delle libertà dell’uomo, della Carta canadese dei diritti e delle libertà e dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Il ministro della Salute, Danielle McCann, ha confermato l’esistenza dei criteri di esclusione, sostenendo però che sono applicati solo in situazioni estreme, che non si sono ancora presentate nella provincia. “Se hai un deficit cognitivo, come la sindrome di Down o un grave disturbo autistico, potresti dover lasciare il tuo posto a un’altra persona”, ha spiegato la deputata Jennifer Maccarone, citata da Avvenire. Il quotidiano evidenzia inoltre che fra i criteri di esclusione viene indicata “una grave compromissione cognitiva e l’incapacità di svolgere le attività quotidiane e domestiche in modo indipendente a causa di una malattia progressiva”.

Giudizi di valore

Si ripropone così il tema delle “vite degne di essere vissute”, sempre agitato dai sostenitori dell’eutanasia. Valutare il servizio sanitario in termini meramente utilitaristici e aziendali porta inevitabilmente ad assegnare un valore minore alle vite di persone che dipendono dall’aiuto degli altri e pone la professione medica su un pericoloso e mortifero piano inclinato. Intanto direttore esecutivo della Sqdi, Anik Larose, non ha escluso azioni legali e ha chiarito che qualsiasi criterio basato sulla valutazione dell’autonomia funzionale di un individuo, come la sua capacità di vestirsi e mangiare da solo, pone importanti questioni etiche e legali. “Indipendentemente dal fatto che si sia o meno in un’emergenza sanitaria, le decisioni cliniche non dovrebbero mai essere prese sulla base di giudizi di valore sull’utilità sociale di un individuo o su pregiudizi sulla sua scarsa qualità della vita”, ha spiegato Larose.

Fragilità clinica

Le associazioni dei disabili evidenziano anche la gravità del “punteggio di fragilità clinica”, previsto nel testo per misurare le probabilità di sopravvivenza di un paziente. “Un punteggio di fragilità clinica di 7 o più significa che la persona è totalmente dipendente, qualunque sia la causa, fisica o cognitiva”, si legge nel protocollo visionato in esclusiva da Avvenire. Larose ha quindi fatto notare che una persona con sindrome di Down che ha difficoltà ad articolare le parole o ha limiti motori otterrà un punteggio di fragilità elevato e sarà immediatamente esclusa dalle cure intensive. “Le capacità funzionali delle persone con un disturbo dello spettro autistico sono compromesse, senza ridurre la loro speranza di vita”, ha detto il direttore esecutivo della Federazione dell’autismo del Quebec, Luc Chulak. Una battaglia simile è stata condotta dalle organizzazioni per la difesa dei disabili statunitensi che sono riuscite a stralciare il protocollo dell’Alabama che negava i respiratori alle persone con ritardo mentale o demenza da moderata a grave.

Un dato inquietante

Una piccola vittoria nella corniche di un Nord America ormai avviatosi verso una deriva eutanasica che, per la sua portata, non ha paragoni nel resto del mondo. Non è un caso che l’Euthanasia Prevention Coalition (Epc) distribuisca in Canada dei bigliettini identificativi, a cui vanno aggiunti a penna i propri dati anagrafici, con scritto “Do not kill me. I oppose euthanasia and assisted suicide” (Non uccidermi. Io sono contrario all’eutanasia e al suicidio assistito). L’associazione consiglia di portare con sé questi tesserini per avere garantite cure di rianimazione sostegno vitale in caso di incidente o di un malore improvviso. Secondo il dott. Paul Saba della Coalition of Physicians for Social Justice – intervenuto lo scorso settembre ad un convegno tenutosi a Roma e organizzato dal MaterCare International – dal 2016 circa 6mila cittadini del Canada sono stati uccisi con l’eutanasia e non si trattava solo di persone allo stato terminale della vita, molti infatti erano semplicemente depressi. In Canada è inoltre in discussione al parlamento il disegno di legge C-7, che mira ad allargare ancora di più le maglie dell’accesso all’eutanasia. I lavori dell’aula riprenderanno a settembre a causa delle misure di contenimento del Covid ma le organizzazioni pro life hanno già avvitato una petizione per contrastare la proposta.

Coalizione contro l’eutanasia

Nel frattempo l’Euthanasia Prevention Coalition, animata da molti operatori del sistema sanitario, ha denunciato che molti decessi dovuti alla pandemia di Covid-19 sono stati causati da linee guida di triage che negavano ai residenti nelle case di cura le cure di cui avevano bisogno. Un fenomeno che si è registrato anche in Europa alla luce delle testimonianze di molti medici che hanno parlato di scelte dolorose nel fornire respiratori ai pazienti più giovani a scapito di quelli più anziani. La Coalizione contro l’eutanasia promuove da sempre le cure domestiche per gli anziani che vogliono rimanere nelle loro abitazioni, tuttavia ha espresso preoccupazione per il fatto che le rivelazioni su quanto successo nelle case di cura possano portare una maggiore richiesta di eutanasia tra le persone anziane. In questo contesto, il presidente dell’Epc, il dott. Alex Schandenberg, ha raccolto la testimonianza di una donna anziana il cui marito aveva ricevuto pesanti pressioni per convincerlo a richiedere l’eutanasia.

La crisi Covid-19 ha quindi messo a nudo quella mentalità che fissa delle condizioni per le quali la vita può essere violata e che utilizza l’abbandono terapeutico dei malati, che già è possibile osservare anche nelle strutture sanitarie europee, come metodo alternativo all’eutanasia attiva e al suicidio assistito compiuti con farmaci letali. Qualsiasi politica attenta alla dignità umana non può che partire dal rifiuto di questa mentalità.