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Il bilancio dei vertici europei a Granada. L’analisi di Leonardo Panetta

Per due giorni il centro d’Europa è stato nel sud della Spagna, a Granada. La città andalusa ha infatti ospitato il 5 ottobre il terzo vertice della Comunità politica europea, dopo quelli dell’ottobre 2022 e del giugno scorso, a cui hanno partecipato oltre 40 capi di Stato o di governo del Vecchio Continente, tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e il 6 la riunione informale dei 27 leader degli Stati membri dell’Unione europea.

I due giorni

L’immigrazione è stato uno dei temi della “due giorni” in realtà composta da appuntamenti distinti. Nella prima tornata, durante la riunione della comunità europea allargata, il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha partecipato alla plenaria e ha parlato con il capo di Stato dell’Ucraina, per poi presiedere, insieme al primo ministro britannico Rishi Sunak, un incontro sulla lotta ai trafficanti. Nel secondo vertice, quello dei 27, gli argomenti erano, tra gli altri, oltre ai migranti, l’autonomia strategica dell’Ue, l’allargamento e le riforme istituzionali. Al termine, il veto di Polonia e Ungheria ha comportato il venire meno della parte relativa ai migranti nella Dichiarazione conclusiva.

L’intervista

L’analisi dei due appuntamenti del giornalista Mediaset ed esperto di temi europei Leonardo Panetta.

Che bilancio possiamo tracciare di questi due giorni?

“Nei vertici definiti informali, quelli che il Paese che ha la presidenza del semestre del Consiglio europeo decide di ospitare altrove rispetto a Bruxelles, non si prendono decisioni. Come accade da qualche anno, a questi si agganciano le riunioni della Comunità europea allargata, una formula estesa che comprende anche i Paesi balcanici e il Regno unito. Il tema delle migrazioni ha un po’ tenuto insieme i due incontri. In quello del 5 ottobre abbiamo visto nascere una sorta di patto tra Italia, Inghilterra, Albania, Francia, Olanda e Commissione europea per fare rete contro gli scafisti. Quello del 6 si è tenuto a una settimana di distanza dalla spaccatura tra il nostro Paese e la Germania su un emendamento al regolamento relativo alle crisi migratorie, quello che legittimava in alcuni casi l’intervento delle organizzazioni non governative, a cui è seguito poi il passo indietro dei tedeschi, che lo hanno ritirato, e l’intesa, che costituisce un buon viatico per il Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre. Polonia, che il 15 ottobre va al voto, e Ungheria, che si oppongono al Patto per le migrazioni e l’asilo, hanno fatto mancare la loro firma alle conclusioni del vertice del 27 capi di Stato e di governo dell’Ue”.

In quale direzione va l’Unione europea sul tema dell’immigrazione, all’interno della cornice del Patto per le migrazioni e l’asilo?

“L’auspicio politico è quello di adottarlo entro la fine naturale della legislatura europea, ma a Bruxelles sanno che gli ultimi mesi prima delle urne saranno un periodo di campagna elettorale, quindi puntano a farcela – obiettivo ambizioso – entro febbraio o marzo, quando si terrà l’ultimo Consiglio europeo di questi cinque anni. Gli Stati membri hanno trovato una posizione a maggioranza qualificata, ora la discussione va all’Europarlamento, dove si cercherà un’accelerazione. L’obiettivo italiano è far considerare le frontiere italiane come frontiere europee e ottenere un cambio di atteggiamento, dalla solidarietà a parole a quella nei fatti”.

Qual è il filo della strategia italiana sull’immigrazione che passa dalla Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni fino all’appuntamento di Granada, passando per il vertice Euro Med 9 a Malta?

“Quello di non forzare i toni. Meloni ha voluto coinvolgere la Commissione per trovare una strada europea. La tragedia di Cutro rimane, ma l’Italia mostra di fare la sua parte nell’accoglienza. Sullo sfondo rimane il problema del patto con la Tunisia, il presidente Saied sarebbe rimasto deluso dall’accordo con l’Europa e vorrebbe di più. Anche se i report sul rispetto dei diritti umani non vanno a favore del Paese nordafricano, è un attore importante per il controllo delle frontiere. L’Europa ha creato un precedente, vedasi il caso Erdogan”.

Come procede il sostegno occidentale all’Ucraina?

“E’ evidente che, purtroppo più la guerra va avanti e più il sostegno dovrà essere ritrattato, rinegoziato, riconfermato. La volontà c’è, bisogna vedere poi la disponibilità. Gli Stati Uniti non hanno potuto riconfermare i finanziamenti per questioni di bilancio e per evitare il rischio shutdown, ma Biden ha già detto che il sostegno ci sarà. In Europa la situazione è che sono rimasti pochi armamenti a disposizione, bisogna ridefinire i bilanci e si cominciano a intravvedere le elezioni di giugno. Man mano che si avvicinerà quella data, la guerra diventerà un tema meno centrale perché si sceglierà di parlare di quei temi che i cittadini sentono più prossimi in un momento di difficoltà economica”

Che vento elettorale tira nell’Ue?

“E’ un’aria un po’ diversa da cinque anni fa e tira un po’ più a destra, per una serie di fattori. Sono elezioni particolari, la presidente della Commissione europea von der Leyen vorrebbe essere confermata per un secondo mandato e questo potrebbe portarla a fare una campagna elettorale a modo suo. Occorre capire la forza dei socialisti. In Germania la coabitazione tra socialdemocratici, verdi e liberali non sta andando benissimo. In Italia sembrerebbe, ad oggi, confermato il vantaggio di Fratelli d’Italia rispetto agli altri partiti e in Francia la Le Pen sarebbe davanti a Macron. Allo stato attuale, i sondaggi prevedono ancora una maggioranza tra popolari, socialisti e liberali, magari con un’opposizione delle destre più consistente in Parlamento. Bisognerà vedere i numeri e il posizionamento del partito di Meloni per capire se cambieranno i rapporti di forza nel gruppo dei conservatori, dove oggi i ai polacchi del Pis sono più presenti, o se potrà incidere in prospettiva magari tra i popolari”.

Lorenzo Cipolla

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