In Italia, le istituzioni, soprattutto quelle che si occupano di sanità, devono fare un grosso passo avanti, anche di natura culturale. Su questo versante, la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ci dice che non deve esserci un approccio prettamente medico, ma anche sociale. Ciò implica un cambio di prospettiva rispetto al fatto che, anche un’azienda sanitaria la quale si occupa prettamente di salute, deve sapere che, quest’ultima, non è prettamente un problema di sanità, ma anche uno stato di benessere fisico, psichico e sociale. Ciò significa prendersi carico di tutto questo nel suo insieme. Invece purtroppo, ancora oggi, le aziende sanitarie, si occupano prettamente del lato ospedaliero nonché medicalizzato e, di conseguenza, la cura è ancora quella che c’era molti anni fa e non quella a 360 gradi che servirebbe.
Quest’ultima, per le persone con disabilità, è assolutamente essenziale perché, nel 90%, non hanno bisogno di un farmaco specifico. Quindi, è fondamentale orientarsi su un nuovo modello di presa in carico in grado di andare oltre la malattia e l’ospedalizzazione, focalizzandosi invece maggiormente sui bisogni sociali e relazionali, come la scuola. Se, ad esempio, a un bambino con disabilità non viene consentito di andare a scuola è molto probabile che, in futuro, non gli sarà consentito di lavorare perché non ha acquisito le necessarie competenze relazionali e sociali. È necessario partire dal basso e penso che, da questo punto di vista, le istituzioni scolastiche rappresentino un avamposto incredibile che, stando in ospedale o non potendo uscire, non si possono avere.
In qualità di genitore caregiver vorrei che, a qualunque processo decisionale che riguarda la persona con disabilità e la relativa famiglia, possa partecipare il caregiver, in quanto sa ciò che serve al proprio figlio e al nucleo famigliare in quanto vive questa situazione 24 ore su 24. Non è possibile che questa figura fondamentale venga esclusa dai processi decisionali che riguardano i piani assistenziali, i supporti, gli assegni e tutto ciò che è necessario. La sua partecipazione darebbe modo alle istituzioni di gestire al meglio le risorse disponibili ma, purtroppo ad oggi questo non succede. Noi subiamo le decisioni di figure professionali che non conoscono nemmeno le persone con disabilità e, sulla base di relazioni, stilano dei piani assistenziali i quali, in alcuni casi, si rivelano assolutamente inadeguati.
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