Oggi, nella IV Domenica di Pasqua, si celebra la 60° Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, istituita da San Paolo VI durante il Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1964.
“Questa iniziativa provvidenziale – scrive Papa Francesco nel messaggio sulle Giornata – si propone di aiutare i membri del Popolo di Dio, personalmente e in comunità, a rispondere alla chiamata e alla missione che il Signore affida ad ognuno nel mondo di oggi, con le sue ferite e le sue speranze, le sue sfide e le sue conquiste”. Il tema scelto quest’anno dal Santo Padre è: “Vocazione: grazia e missione”.
Per meglio entrare nel cuore di questa Giornata, Interris.it ha intervistato padre Alfredo Feretti. Teologo e sacerdote, padre Ferretti è anche il Direttore del “Centro La Famiglia” di Roma, il primo consultorio sorto nella città di Roma, fondato nel 1966 da padre Luciano Cupia degli Oblati di Maria Immacolata. Il centro di consulenza familiare socio-educativo offre un servizio di aiuto alle persone e alle coppie, nella loro vocazione familiare e laica.
Quest’anno il tema della Giornata è “Vocazione: grazia e missione”. Perché “grazia” e perché “missione”?
“La vocazione, lo dice la parola stessa, è un ‘io ti chiamo’. Quindi, è un regalo, un dono che ci viene fatto. E’ una chiamata, ma non una qualunque. Questa è specificatamente gratuita”.
Cosa intende per “gratuita”?
“Che la chiamata non dipende dalle mie qualità umane, dalle mie capacità, meriti o interessi. Non è dunque legata al ‘come sono io’. Ma parte esclusivamente dall’iniziativa di Dio, in quanto dono. Che arriva a noi immeritatamente ed inaspettatamente”.
Tutti siamo “chiamati” o lo sono solo i sacerdoti?
“Lo siamo tutti nel momento del battesimo. Dopo aver chiamato alla pienezza della vita attraverso il sacramento del battesimo, il Signore dona ai consacrati anche la grazia della vocazione sacerdotale, vale a dire al dono totale di se stessi. La prima parola significa proprio questo: ‘io sono stato chiamato per grazia’, non per mio merito. Il Papa sottolinea, richiamandosi a san Paolo Apostolo, che ‘noi siamo chiamati nell’amore’. Che significa sia che è l’amore di Dio che mi chiama, sia che io sono chiamato ad essere e a vivere nell’amore. Dunque, la missione è: essere dono per gli altri”.
La giornata è stata istituita nel 1964. Nel frattempo molto è cambiato. E’ ancora importante pregare per le vocazioni?
“Per noi credenti pregare per le vocazioni è quasi un ‘dovere’. Nel senso che noi sacerdoti siamo chiamati anche ad essere responsabili della vita della comunità cristiana. Gesù ci ha affidato questo ‘giardino’ da coltivare che è l’umanità: prendersi cura della pienezza della vita delle persone è la vocazione delle persone consacrate! E’ quindi importante chiedere a Dio, attraverso la preghiera, che ci siano ancora uomini e donne che rispondano a questa chiamata. Persone quindi che sentano la passione per l’umanità. Si comprende così anche la parola ‘missione’. Nessuno è chiamato per se stesso. E’ sempre chiamato per l’altro, per essere dono dell’altro. Se entriamo nella logica del dono riusciamo a spezzare alcuni meccanismi perversi che oggi l’umanità sta vivendo, quali il ripiegamento su se stessi e l’egoismo”.
Qual è la specificità e unicità dei consacrati rispetto all’impegno dei laici nella Chiesa?
“E’ fondamentale non mettere consacrati e laici in contrapposizione. Alla radice di ogni vocazione c’è la chiamata battesimale. Questo è il sacerdozio comune, che ci appartiene e che ci costituisce nella nostra dignità di figli di Dio. Ciascuno di noi è stato scelto prima della creazione del mondo per essere santo e immacolato nell’Amore. All’interno di questa comune chiamata, la comunità cristiana è costantemente convocata a fare di se stessa una comunità che rende grazie e dona a Dio se stessa. All’interno di questa comunità ognuno ha un proprio compito e servizio. Il termine tecnico che si usa comunemente, ‘ministero’, a volte fa dimenticare che esso significa ‘servizio’. Ognuno quindi, laico o religioso che sia, ha un suo specifico servizio, vale a dire un dono da compiere, all’interno della comunità. La chiamata specifica ad essere presbiteri, che significa ‘anziani’, è questa: poiché i presbiteri hanno ricevuto il dono della saggezza e della sapienza, devono guidare la comunità all’incontro con il Signore. Ma non come ‘primi’. Ma come coloro che a volte stanno davanti, a volte in mezzo, a volte in fondo al popolo di Dio”.
Perché dice “a volte davanti, a volte in mezzo, a volte dietro il popolo di Dio”?
“Il pastore sta davanti al popolo di Dio perché convoca la comunità. In mezzo alle persone per sentirne il grido, le sofferenze e tutte le cose che vivono. Infine, sta dietro per incoraggiare e sostenere i più deboli, coloro che non ce la fanno a restare al passo. Affinché nessun uomo o donna si senta escluso dall’appartenere al ‘gregge’ di Dio. Non usiamo più i termini ‘lontani’ e ‘vicini’: in Cristo non c’è nessun lontano. Pregare in comunità, così come in chiesa e in famiglia, per i presbiteri e per le vocazioni al servizio della comunità cristiana è dunque un dovere fondamentale”.
Il Papa conclude tutti i suoi discorsi chiedendo di pregare per lui. Che modello è Papa Francesco per i consacrati?
“Non mi permetterei mai di giudicare il Santo Padre. Per me, prima di tutto, rappresenta l’uomo che ascolta. Francesco si mette in costante ascolto del popolo di Dio. In tutte le sue dimensioni, a partire dal più ‘piccolo’, dalla persona più semplice e povera. Lui coglie in ciascuno la voce di Dio. Secondo: Papa Francesco è colui che sa rispondere alle domande del popolo di Dio, adattando il proprio linguaggio alle persone di questo specifico contesto storico, in cui la gente fa fatica. Il Pontefice è un grande ascoltatore e allo stesso tempo colui che sa dare risposte comprensibili alla gente, anche ai non credenti. Terzo: è un grande esempio di pastore: è sia guida, sia compagno di viaggio, sia aiuto e supporto dei deboli. Riprendendo il tema di questa 60° Giornata, è davvero l’incarnazione di colui che per grazia è stato chiamato. Lo ha raccontato spesso lui stesso: ‘io sono un sacerdote perché quel 21 settembre sono entrato in chiesa e mi sono confessato. In quel momento, festa di san Matteo, mi sono sentito chiamato da Dio’. Il Papa è perciò un graziato, per usare le sue stesse parole. Ma che non si è fermato a se stesso: quella grazia l’ha messa e la continua a mettere a disposizione di tutti gli altri. Per tali motivi, e molti altri, Papa Francesco è certamente un altissimo modello da prendere da esempio per ogni persona consacrata”.
Anche Lei, come il Papa, ricorda il giorno della sua chiamata alla vita consacrata?
“Sì. Fu il 4 novembre 1971. Dopo un momento di preghiera silenziosa con altri ragazzi, un sacerdote mi chiese cosa avessi detto a Gesù durante la preghiera. Io risposi che non avevo detto nulla perché non avevo pratica con la preghiera silenziosa. ‘Sono rimasto zitto tutto il tempo fissando la croce. E quella croce mi ha guardato’, dissi al prete. Che mi rispose: ‘Forse quella parola non-parola che ti è arrivata oggi, si aprirà col tempo’. Così fu: dopo poco mi resi conto che quella ‘parola muta’ della croce era una chiamata al dono totale di me stesso”.
In questa Giornata, vuole terminare con una preghiera per le vocazioni?
“Gesù, tu che hai chiamato da sempre persone semplici,
e non guardi al merito,
ma al tuo amore e alla tua misericordia per noi,
volgi il tuo sguardo verso tanti uomini e donne chiamandoli a seguirti.
Chiama persone che mettano a disposizione la loro vita per essere in mezzo alle persone; per essere dono;
per far innamorare di Te.
Persone che sappiano essere le mani del Tuo Spirito, la bocca del Tuo Spirito;
la consolazione del Tuo Santo Spirto”.
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