60 anni di Concilio. Il Vaticano II come “nuova frontiera per la Chiesa universale”

Una svolta epocale per conferire nuova vitalità alla Chiesa e aprire nuove vie nel dialogo ecumenico attraverso una straordinaria esperienza di rinnovamento. La testimonianza dell'ex presidente delle Acli Luigi Bobba, espressione del laicato cattolico promosso dall'assise episcopale

Sinodo

L’ 11 ottobre 1962 è la data che segna l’inizio del principale evento ecclesiale del XX secolo. Sessanta anni fa, nella basilica di San Pietro, Giovanni XXIII avvia il
Concilio ecumenico Vaticano II. Per conferire nuova vitalità alla Chiesa. Ed aprire nuove vie nel dialogo ecumenico. Attraverso una straordinaria esperienza di rinnovamento. L’ex presidente delle Acli Luigi Bobba è espressione del laicato cattolico promosso dall’assise episcopale. E ravvisa tra la figura di Giovanni XXIII e quella di Francesco più di un tratto di somiglianza. “Pur tenendo conto della diversa epoca storica, si potrebbe quasi parlare di una comune indole comunicativa o di un analogo stile relazionale. Comunque di una forte spontaneità che riesce a farsi percepire come autentica. E la gente proprio per questo, è pronta a riconoscere il primo come ‘Papa buono’ e il secondo come ‘Papa misericordioso'”, spiega Bobba a Interris.it.Concilio

Lo spirito del Concilio
“Le modalità di attuazione del Concilio sono state profondamente diverse nelle varie parti del mondo– osserva Bobba-. E forse le Chiese più giovani e più povere dei Paesi del Sud del mondo hanno saputo recepire in modo più creativo e innovativo il messaggio conciliare. In Europa, in particolare, la sfida della secolarizzazione e dell’individualismo radicale ha reso più difficile l’accoglienza di quel vento di rinnovamento comunitario originato dal Concilio”. Ma anche nelle chiese del Sud America e dell’Africa si presentano oggi sfide altrettanto insidiose. “Una lettura troppo politica ed ideologica del messaggio conciliare, ha lasciato inevasa una domanda di religiosità popolare. Che è stata invece interpretata dal diffondersi di miriadi di Chiese evangeliche pentecostali. E dal radicarsi delle stesse specialmente negli strati più popolari- sottolinea il presidente di Terzjus, l’osservatorio giuridico sul Terzo settore-. Dunque per le Chiese dell’Occidente il futuro si gioca nella capacità di attraversare la secolarizzazione. Riscoprendo le radici personalistiche e comunitarie del messaggio cristiano. Mentre il futuro delle Chiese più giovani del sud del mondo sarà segnato dalla loro duplice capacità. Di interpretare sia la domanda di giustizia sociale. E di mantenere un forte radicamento nella religiosità popolare”.Concilio

Rinnovamento continuo

Un cristianesimo più giovane, più fresco può rappresentare, secondo Bobba, la nuova frontiera per la Chiesa universale. “Non a caso il papa Francesco ha voluto aprire il Giubileo della misericordia– ancor prima che a Roma, a San Pietro – nella cattedrale di Bangui. Capitale della Repubblica Centroafricana– sottolinea l’ex presidente delle Acli-. Un segno poco valorizzato. Ma denso di significato per il futuro della Chiesa tutta. L’attuazione del Concilio è un aspetto importante del programma di Francesco. Ma il suo pontificato presenta anche altri interessanti tratti di radicalismo evangelico che vanno anche oltre il Vaticano II”. A questo riguardo, Bobba richiama vari temi. Ossia l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. La custodia del Creato e l’ecologia umana. L’accoglienza degli immigrati e la convivenza interculturale. La collegialità nella Chiesa e l’apertura verso i divorziati. La presa di distanza da ogni forma di potere. Concilio

Inclusione

“Si tratta di prospettive che sono legate tra loro da fondamentali principi. Cioè  l’inclusione. La comprensione. L’uguaglianza nella dignità. La misericordia– evidenzia Bobba-. Al quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze Francesco ha dichiarato con forza il suo no ad una Chiesa ossessionata dal potere. E ha
aggiunto, significativamente, che gli piace una Chiesa italiana inquieta. Sempre più vicina agli abbandonati. Ai dimenticati. Agli imperfetti”. Quindi, Francesco “non ha certo modificato i principi fondamentali della dottrina della Chiesa. Ma ha saputo presentarli non come dogmi lontani dalla vita delle persone. Bensì come vie per trovare un significato pieno alla propria vita”. E aggiunge: “E’ impossibile stilare una classifica su quale papa sia stato più conciliare. Sarebbe fuorviante perché ogni pontefice ha riletto, approfondito e interpretato il messaggio conciliare con un proprio originale carisma. Cercando di cogliere le domande, le risposte, le attese e le speranze. Del tempo in cui sono stati chiamati ad esercitare la missione di successori di Pietro. Francesco è il primo papa postconciliare sul piano biografico. E forse per questo ha potuto accostarsi al magistero conciliare in modo più libero e creativo”.Concilio

Strada maestra

Per Bobba questa “incontestabile coerenza con la sostanza teologica del Vaticano II rende difficilmente attaccabile la persona di Francesco e il suo pontificato. Perché appare chiaro a tutti che la strada maestra che lui sta percorrendo era stata già tracciata dai padri conciliari“. Prosegue: “Paolo VI, per esempio, pur nell’ammirabile profondità di pensiero del suo pontificato, ha dovuto misurarsi con un carico di attese, per lungo tempo non espresse. E ciò hanno rischiato di travolgere il messaggio conciliare o di condurlo verso derive pericolose. Così lui, che era stato sicuramente uno dei padri conciliari che più aveva creduto nel Vaticano II, è apparso ai media e all’opinione pubblica forse troppo timido e indeciso. Ma il suo apporto appare oggi ancor più decisivo”. Osserva Bobba: “Giovanni Paolo II, invece, è riuscito molto di più ad entrare in sintonia con il mondo, a suscitare entusiasmi giovanili in tanti luoghi e contesti, ma senza riuscire veramente a riformare dall’interno una Chiesa che rimaneva troppo ingessata nelle sue istituzioni. È vero poi che Benedetto XVI ha cercato di marcare una discontinuità che non sempre è stata percepita dai fedeli e dall’opinione pubblica. Le sue inattese e imprevedibili dimissioni hanno però dimostrato quanto Benedetto XVI fosse interiormente libero e fedele al messaggio conciliare“.

Eredità del Concilio

Aggiunge Bobba: “Francesco appare in tutto e per tutto ‘figlio’ del Concilio. Non può vantare di essere stato uno dei padri conciliari. Ma forse, proprio per questo, è in grado di realizzare le novità conciliari nella loro interezza e integrità, arricchendole – a sessant’anni di distanza – di una ulteriore carica profetica e missionaria“. La sua insistenza sul valore dell’inquietudine, a giudizio di Bobba, è la prova della sua lontananza da ogni forma di conservatorismo e di fondamentalismo. Indubbiamente, per tutti i pontefici che si sono succeduti da Giovanni XXIII a Francesco esiste un criterio. Cioè precisi indicatori di riconoscibilità. Sulla base dei quali stabilire quale sia stata l’eredità conciliare da attribuire ad ognuno di essi. Ad esempio, per Giovanni Paolo II non è difficile individuare nel tema dei “viaggi” pastorali in tutti i continenti. Nella Giornata Mondiale della Gioventù. Nell’incontro interreligioso di Assisi (27 ottobre 1986). Nel suo solenne e reiterato “no” alla guerra. Nella sua pubblica richiesta di perdono per i molteplici peccati commessi dalla Chiesa. Nei confronti di tanti uomini di pensiero. Di uomini di Chiesa. Del genere femminile. Delle minoranze etniche-culturali e religiose. Dei poveri e di intere popolazioni. Una “evidente eredità conciliare“.