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27 ottobre 1986. Il dialogo tra le fedi combatte le ingiustizie sociali

L’equità sociale ha un formidabile strumento: il dialogo tra le fedi. A intuirlo è stato San Giovanni Paolo II e i suoi successori hanno proseguito il confronto costruttivo tra i credenti. Tutto ha inizio il 27 ottobre 1986 con la Giornata mondiale di preghiera per la pace. Karol Wojtyla riunisce i principali leader religiosi ad Assisi per una preghiera comune per la pace nel mondo. Ci sono i capi di tutte le chiese cristiane, il Dalai Lama, l’arcivescovo di Canterbury e molti altri. Nel giorno del 34° anniversario dello storico evento, Interris.it ha intervistato l’ex vicedirettore dell’Osservatore Romano, Gianfranco Svidercoschi. Decano dei vaticanisti, è stato amico e collaboratore di Giovanni Paolo II. Come ricorda la Giornata mondiale di preghiera per la pace del 27 ottobre 1986?

“Seguendo Giovanni Paolo II nei suoi viaggi, nelle sue visite, avevo già vissuto momenti straordinari. Conoscendo nuovi universi religiosi. E percependo via via come Karol Wojtyla stesse disegnando un modello di ‘convivenza’. Non solo tra le Chiese cristiane. Ma anche tra le religioni. Ricordo con emozione, nell’agosto del 1985, l’incontro del Papa con 80 mila giovani musulmani a Casablanca. ‘Noi crediamo nello stesso Dio, il Dio unico, il Dio vivente, il Dio che ha creato i mondi e porta le sue creature alla perfezione’, disse”.Poi?

“Ricordo, con ancor più emozione, quanto avvenne il 13 aprile dell’anno dopo. Per la prima volta un Papa entrò in una sinagoga, quella di Roma. E poté farlo, facendo breccia nella secolare diffidenza degli ebrei. Perché era un Papa che da giovane aveva conosciuto l’ebraismo. E aveva vissuto da vicino la spaventosa tragedia del popolo ebraico. Soltanto uno come lui poteva chiedere credibilmente perdono ai ‘Fratelli maggiori’, come li chiamò. E poteva dire parole così dure sulle responsabilità dei cristiani stessi nella Shoah”.Assisi come completamento?

“Sì. Poi, passati pochi mesi, arrivò quell’incredibile 27 ottobre. Ad Assisi vidi qualcosa che nessuno aveva mai visto prima. I testimoni dell’animus spirituale di più di quattro miliardi di donne e di uomini. Ossia di tutte le Chiese e di tutte le religioni. Si trovarono nello stesso luogo. Nello stesso momento per invocare dall’Altissimo il dono della pace. Pregarono con parole diverse, con modalità diverse. I musulmani invocando il ‘Dio grande’, Allahuakbar. I pellirosse fumando il calumet della pace e implorando il ‘Grande Spirito’. Alcuni rivolgendosi a un Dio unico. Altri a un Assoluto impersonale, senza volto, senza nome. Eppure, malgrado la molteplicità delle ‘voci’, ne uscì una sinfonia che era una straordinaria comunione di cuori, di anime. Anche per un prodigio geopolitico”.Quale?

“Quella Giornata mondiale di preghiera per la Pace, venne onorata dal silenzio delle armi su tutti i campi di battaglia. E rappresentò una svolta storica, un punto e a capo, nella lunga tormentata vicenda dei rapporti tra le religioni”.Che impressione personale ebbe del primo meeting interreligioso della storia? Il dialogo tra le fedi nacque lì?

“Ad Assisi, per la prima volta, ma concretamente, realmente, ‘vidi’ che Dio è padre di tutti. Ci ripensai anni dopo, quando, in seguito a uno spaventoso maremoto nell’Oceano Indiano, ci furono centinaia di migliaia di vittime. Non era mai accaduto prima che lasciassero la terra, tutte assieme, contemporaneamente,  così tante persone di razze diverse, di nazionalità diverse, di lingue diverse, ma anche di fedi diverse”.Cioè?

“Musulmani, cristiani, ebrei, induisti, buddisti. Lì, accanto a loro, per assisterli, per consolarli, c’era solo un Dio, un Dio per tutti. Non poteva esserci un  Dio differente, a seconda che uno fosse nato in un paese piuttosto che in un altro, o che professasse una religione invece che un’altra. Ecco, Assisi aveva ‘detto’ proprio questo”.A cosa si riferisce?

Nella preghiera, e dunque in quello che è l’incontro decisivo tra Dio e l’uomo, le differenti tradizioni spirituali riscoprivano la loro più autentica ispirazione, una fratellanza universale. E che era, perciò, il riconoscimento di Dio come Padre di tutti. Dio che abbraccia tutti coloro che lo cercano, in qualsiasi modo e in qualsiasi luogo, nella propria coscienza come nella natura, oppure al di là delle stelle”.Come visse San Giovanni Paolo II la svolta epocale nel dialogo tra i credenti?

“Karol Wojtyla aveva compreso quanto fosse importante, specialmente in quel momento storico, far recuperare alle religioni quella che era una loro funzione fondamentale. Essere luoghi di pacificazione e di crescita di una reale solidarietà fra i popoli. Ma poi (come faceva sempre) si era abbandonato nelle mani di Dio, per prendere ispirazione, per capire che cosa dovesse fare. E, nella ‘sapienza’ di Dio (non riservata solo ad alcuni, ma aperta a tutti gli uomini) aveva trovato il punto di convergenza in cui i credenti delle varie religioni avrebbero potuto riconoscersi. Ed ecco la Giornata mondiale di preghiera per la Pace”.Il dialogo come ponte tra terra e Cielo?

“Sì. Ecco l’occasione giusta che lo Spirito si era ‘inventato’. Assisi fu molto probabilmente la decisione più audace, più coraggiosa, di Papa Wojtyla. E anche la decisione più contestata, più discussa, perfino da parte di autorevoli cardinali, per il timore che ne conseguissero sincretismi, fraintendimenti nel popolo cristiano. Parlando con Andrea Riccardi (fondatore e responsabile della Comunità di Sant’Egidio, che poi avrebbe avuto il grande merito di diffondere lo ‘spirito’ di Assisi) il Papa disse: ‘Andiamo avanti, continuiamo, anche se per poco non mi scomunicavano…’. Scherzava, certo, ma solo fino a un certo punto”.Perché?

“Le resistenze ad una giornata dedicata al dialogo erano state molto forti. E comunque Giovanni Paolo II capì subito– come confidò la sera stessa ad Assisi al suo segretario, don Stanislao Dziwisz– che ‘era stata davvero una giornata straordinaria’ Da lì, da Assisi, era partita (per non fermarsi più) la ‘via religiosa’ alla pace. In altre parole, papa Wojtyla rese per così dire irreversibile il principio della convivenza tra le religioni. Bandendo per sempre ogni forma di intolleranza, di integralismo, di disprezzo per le altre fedi. Avrà pure un senso, se Dio ha permesso che ci fossero, non uno solo, ma più ‘cammini’ religiosi, per cercarlo, per andare incontro a Lui”.

Giacomo Galeazzi

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