Vietato convertirsi: l’ultimo attacco degli indù contro il cristianesimo

Una grave violazione della libertà di scelta e coscienza di una persona. Un ulteriore attacco contro le minoranze religiose. Così il Global Council of Indian Christians (Gcic) definisce la proposta, formulata dal Vishwa Hindu Parishad (Vhp), un gruppo ultranazionalista indù dell’India, di creare un’apposita legge anti-conversione su scala nazionale. “Non vogliamo – dichiara Praveen Togadia, leader del Vhp – una situazione in cui gli indù, che ora sono l’82% della popolazione, diventino un misero 22% nel nostro Paese”. Secondo il gruppo estremista, inoltre, è necessario portare avanti le “riconversioni” all’induismo, chiamate “ghar wapsi”, letteralmente “ritorni a casa”. Nello stesso giorno in Kerala, il Vishwa Hindu Parishad ha realizzato due cerimonie di ghar wapsi, una a Idduki, dove ha coinvolto un centinaio di cristiani pentecostali, l’altra nel distretto di Alappuzha riguardante 27 persone.

A partire dalla seconda metà del 2014, gruppi radicali indù come il Vhp e la Rss hanno coinvolto in tali pratiche soprattutto comunità cristiane e musulmani povere, spesso indotte ad accettare tramite offerte in denaro. Secondo Sajan George, presidente Gcic, queste cerimonie “vanno fermate usando le necessarie sanzioni previste dalla legge. Questi elementi si sentono incoraggiati dal silenzio delle autorità”. Dall’ultimo censimento governativo risulta, di fatto, un declino della popolazione cristiania in India: dal 2,60% del 1971, si è passati al 2,44% nel 1981, al 2,34% nel 1991, al 2,30% nel 2001.