“NON OSCURIAMO CIO’ CHE E’ IMPERFETTO RELEGANDO I MALATI IN RECINTI D’ORO”

“Quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli non comprende il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente ‘perfette’, per non dire ‘truccate’, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto”. Una messa speciale, diversa da quelle che si vedono in Vaticano, è stata celebrata quest’oggi in piazza San Pietro a conclusione del Giubileo dei malati e dei disabili. Protagonisti sono stati proprio i disabili, quegli ultimi “relegati dalla società in recinti d’oro”. Infatti, per la prima volta, la lettura del vangelo è stata anche drammatizzata da un gruppo di persone disabili intellettive (in abiti d’epoca) per far si che la Parola fosse compresa anche dai pellegrini con disabilità mentale/intellettiva.

Bergoglio, citando San Paolo, ricorda che l’apostolo delle genti “usa parole molto forti per esprimere il mistero della vita cristiana: tutto si riassume nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione, ricevuto nel Battesimo. Infatti, con l’immersione nell’acqua ognuno è come se fosse morto e sepolto con Cristo, mentre, quando riemerge da essa, manifesta la vita nuova nello Spirito Santo. Questa condizione di rinascita coinvolge l’intera esistenza, in ogni suo aspetto: anche la malattia, la sofferenza e la morte sono inserite in Cristo, e trovano in Lui il loro senso ultimo”. Mai, come oggi, queste parole “di vita trova nella nostra Assemblea una particolare risonanza”.

Tutti, prima o poi, saremo chiamati “confrontarci” e alcune volte anche a “scontrarci, con le fragilità e le malattie nostre e altrui”. Questi confronti “pongono in maniera più acuta e pressante l’interrogativo sul senso dell’esistenza”. Due atteggiamenti assume la nostra mente: “un atteggiamento cinico, come se tutto si potesse risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze”, oppure “si ripone tutta la fiducia nelle scoperte della scienza, pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina in grado di guarire la malattia”. Ma la realtà è ben diversa.

La nostra natura di essere umani “porta inscritta in sé la realtà del limite”. Nella società odierna “si ritiene che una persona malata, o disabile, non possa essere felice perché incapace di realizzare lo stile di vita imposto dalla cultura del piacere e del divertimento”. In questa nostra epoca, dove la “cura del corpo è divenuta mito di massa” e quindi un affare economico, “ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei privilegiati e mette in crisi il modello dominante. Meglio tenere queste persone separate, in qualche ‘recinto’, magari dorato, o nelle ‘riserve’ del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere”.

In molti casi, prosegue il Papa, si ritiene “che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi”. In realtà, questa è un illusione del genere umano che “chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità”. Non si riesce a comprendere “il vero senso della vita, che comporta anche l’accettazione della sofferenza e del limite”. “Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente ‘perfette’, per non dire ‘truccate’, ma quando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’accettazione reciproca e il rispetto”, ammonisce Francesco.

Nel Vangelo proclamato durante la celebrazione, si narra “una particolare situazione di debolezza”. La donna peccatrice viene giudicata ed emarginata, mentre Gesù la accoglie e la difende: “Ha molto amato”. La tenerezza di Gesù “è segno dell’amore che Dio riserva per coloro che soffrono e sono esclusi. Non esiste solo la sofferenza fisica; oggi, una delle patologie più frequenti è anche quella che tocca lo spirito. E’ una sofferenza che coinvolge l’animo e lo rende triste perché privo di amore”. Il Papa la definisce “la patologia della tristezza”. Nasce quando si fa esperienza della delusione o del tradimento nelle relazioni importanti. In quel momento “ci si scopre vulnerabili, deboli e senza difese”. Ed ecco che “la tentazione di rinchiudersi in sé stessi si fa molto forte”, rischiando di perdere l’occasione della vita: amare nonostante tutto”.

D’altronde, “la felicità che ognuno desidera può esprimersi in tanti modi e può essere raggiunta solo se siamo capaci di amare”. ” E’ sempre una questione di amore – prosegue Bergoglio -, non c’è un’altra strada. La vera sfida è quella di chi ama di più”. Alla patologia della tristezza il rimedio è la “terapia del sorriso”: “Quante persone disabili e sofferenti si riaprono alla vita appena scoprono di essere amate! E quanto amore può sgorgare da un cuore anche solo per un sorriso!”. Anche la “fragilità può diventare conforto e sostegno alla nostra solitudine”. “Che cosa potremmo rimproverare a Dio per le nostre infermità e sofferenze che non sia già impresso sul volto del suo Figlio crocifisso? Al suo dolore fisico si aggiungono la derisione, l’emarginazione e il compatimento, mentre Egli risponde con la misericordia che tutti accoglie e tutti perdona”. E’ “Gesù il medico che guarisce con la medicina dell’amore, perché prende su di sé la nostra sofferenza e la redime. Dio sa comprendere le nostre malattie “perché Lui stesso le ha provate in prima persona”.

“Il modo in cui viviamo la malattia e la disabilità è indice dell’amore che siamo disposti a offrire – conclude -. Il modo in cui affrontiamo la sofferenza e il limite è criterio della nostra libertà di dare senso alle esperienze della vita, anche quando ci appaiono assurde e non meritate”. Quindi un appello a non lasciarsi “turbare da queste tribolazioni”, perchè, come scrive San Paolo, “sappiamo che nella debolezza possiamo diventare forti, e ricevere la grazia di completare ciò che manca in noi delle sofferenze di Cristo, a favore della Chiesa suo corpo; un corpo che, ad immagine di quello del Signore risorto, conserva le piaghe”, segno della dura lotta tra la vita e la morte, “ma piaghe trasfigurate per sempre dall’amore”.

Al termine della celebrazione, prima della preghiera dell’Angelus, Papa Francesco saluta le diocesi di Vercelli e Monreale, dove sono stati proclamati beati Giacomo Abbondo e Carolina Santocanale. Ha poi rivolto un duro monito contro lo sfruttamento dei minori: “Oggi ricorre la Giornata mondiale contro il lavoro minorile. Rinnoviamo tutti uniti lo sforzo per rimuovere le cause di questa schiavitù moderna, che priva milioni di bambini di alcuni diritti fondamentali e li espone a gravi pericoli. Oggi ci sono nel mondo tanti bambini schiavi!”. Non manca di salutare con affetto e gratitudine “i pellegrini venuti dall’Italia e da vari Paesi per questa giornata giubilare”. Un ringraziamento speciale va presenti, che hanno sfidato la pioggia nonostante la loro “condizione di malattia o disabilità. Un grazie sentito va anche ai medici e agli operatori sanitari che, nei ‘Punti della salute’ allestiti presso le quattro Basiliche Papali, stanno offrendo visite specialistiche a centinaia di persone che vivono ai margini della città di Roma”.