Nel Sahel, per reclutare combattenti e per compiere atti di violenza, jihadisti e gruppi della criminalità organizzata stanno sfruttando i poveri e i disoccupati. Strumentalizzano le rimostranze delle piccole comunità rurali e la sfiducia nei confronti della leadership politica nazionale.
L’estremismo religioso non sembra essere un fattore trainante per i disordini. In effetti, molti si schierano apertamente contro l’estremismo religioso. “Che si sia musulmani, cristiani, cattolici, protestanti o di credenza africana tradizionale, il terrorismo non ha risparmiato nessuno. E fa perdere a tutti i propri mezzi di sussistenza, la casa, le attività, la vita e la libertà per coloro che sono stati presi in ostaggio”, spiega a Fides monsignor Laurent Birfuoré Dabiré, vescovo di Dori e presidente della Conferenza episcopale Burkina-Niger.
I leader comunitari e religiosi, sia musulmani che cristiani, si sono battuti per l’unità e la resistenza pacifica e di conseguenza sono l’obiettivo degli omicidi nel tentativo di minare la loro influenza.
“In Africa occidentale, i nostri fratelli e le nostre sorelle vengono inseguiti, massacrati e rapiti. Le nostre case e le nostre fattorie sono state bruciate. Donne e bambini sono stati presi di mira senza pietà. Altri vengono arruolati a forza. Questo ha costretto le persone ad andarsene, abbandonare la loro terra per luoghi spesso sfavorevoli”, sottolinea all’agenzia missionaria vaticana Théodore Togo, segretario generale di Ocades-Caritas Mali.
Per elaborare il suo rapporto, Catholic Relief Services (Crs) ha condotto, interviste e sondaggi nella regione del Sahel. Coinvolgendo agricoltori, pastori, milizie locali e leader religiosi e tradizionali. L’analisi include coloro che vivono nell’epicentro delle violenze, nell’area di Liptako–Gourma, a cavallo tra Burkina Faso, Mali e Niger. Il Crs, che opera nella regione da più di sei decenni, chiede un maggiore investimento nel consolidamento della pace. E un maggiore coinvolgimento di donne, giovani e leader locali come parte dei piani nazionali e regionali per risolvere la crisi.
Sono le profonde disuguaglianze economiche e non le tensioni etniche le cause della violenza e dell’instabilità nel Sahel. Il punto di non ritorno è stato raggiunto nel 2015. Quando il gruppo fondamentalista Front de Liberation du Macina iniziò il reclutamento fra i pastori fulani. Coinvolti indirettamente dalle intemperanze nell’Azawad. Porzioni di territorio che, in sostanza, sono rimaste fuori dal ripristino dell’ordine operato su gran parte dei principali poli urbani del Paese.
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