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Burkina Faso: “La scuola può battere il terrorismo”

Prima viene il rispetto dell’altro, non importa se musulmano, cattolico o protestante”: lo dice padre Emile Sawadogo, preside in Burkina Faso, responsabile di una scuola con oltre 300 studenti in una delle regioni più colpite dalle violenze e dalle incursioni dei gruppi armati. Lo scorso 2 dicembre 14 persone sono state uccise nell'attacco alla chiesa protestante di Foutouri, appena al di sotto di quella fascia centro-nord africana corrispondente al Sahel, vittima di un violento rigurgito jihadista. Lo scorso 7 novembre una esplosione  a Boungou ha ucciso almeno 37 persone e ferite una sessantina.

Terrorismo

“Il problema del terrorismo è cominciato a maggio, ormai qui gli sfollati sono tanti”, sottolinea il religioso. L’ultimo scontro tra forze di sicurezza e gruppi armati, da alcuni ritenuti affiliati allo Stato islamico o ad Al Qaeda, risale a pochi giorni fa. “Secondo le notizie del quotidiano Le Faso ‘sono stati neutralizzati sei terroristi’”, afferma padre Sawadogo. Convinto che però, in queste settimane difficili, dopo l’emergenza di novembre e poi l’assalto a un avamposto militare che la vigilia di Natale ha provocato almeno 35 vittime, bisogna guardare oltre. “In questo istituto studiano 330 ragazzi di età compresa tra i dieci e i 21 anni – ricorda su Sir -. Il nostro obiettivo è farli crescere con il rispetto dell’altro; in classe ci sono musulmani, maggioranza in quest’area del Paese, ma anche cattolici e protestanti: tra loro devono essere fratelli”. Un impegno, questo, ora ancora più decisivo che in passato. Sabato, in una località del nord al confine con il Mali, un autobus che trasportava decine di studenti è stato sventrato dall’esplosione di una mina. Tra le vittime, 14, anche sette ragazzi. Padre Sawadogo sottolinea che “a causa delle violenze in città sono arrivati tanti sfollati mentre nelle aree rurali, in particolare a Barsalogho, a circa 40 chilometri da qui, chiudevano le scuole”. Secondo il preside, ad aggravare i timori è il fatto che “nessuno rivendica gli attentati” e che “il governo del presidente Roch Marc Christian Kabore non sembra sapere chi siano i responsabili”. Padre Sawadogo dice che “in passato di tanto in tanto si verificavano contrasti o conflitti tra allevatori e coltivatori” ma anche che “si era sempre trattato di episodi locali e non di una crisi nazionale come quella attuale”. Sperare, però, si deve. Padre Sawadogo sottolinea che di recente un gruppo di imprenditori locali si è organizzato per portare aiuti umanitari da distribuire agli sfollati di Kaya. Oltre alle iniziative della Caritas diocesana, l’Organisation Catholique pour le Developpement et la Solidarité (Ocades), c’è poi una campagna avviata alcuni mesi fa: si chiama Faisons un Geste, in italiano “facciamo un gesto”, e consente di raccogliere fondi in favore di chi ha dovuto abbandonare il proprio villaggio a causa delle violenze.

Milena Castigli

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