Chiesa Cattolica

La Chiesa in soccorso degli ex bambini soldati congolesi

Un progetto in Congo per reinserire nella società i bambini soldato. Insieme i frati agostiniani congolesi. E la Fondazione Agostiniani nel Mondo. Dopo una prima fase di studio, il via alla costruzione di un centro residenziale per assistere i bambini. Scappati da bande sanguinarie. Assicurando ospitalità a circa 100 ragazzi. Il programma diurno assiste almeno 1000 giovani.

L’organizzazione in Congo

L’organizzazione segue i passi per il reinserimento sociale dei bambini-soldato. “In generale, tutti i bambini arrivano alle nostre strutture in disastrose condizioni fisiche. Psicologiche. E sanitarie disastrose”, spiega a Fides  Maurizio Misitiano. Il direttore esecutivo della fondazione aggiunge: “Ci sono ragazzi che arrivano con i piedi piagati dalle lunghissime marce. Affrontate per fuggire. Camminano per giorni senza scarpe nella foresta. Altri, invece, arrivano disidratati. Perché mangiano male. Non hanno accesso all’acqua potabile quando sono nei gruppi armati. Vengono trattati in maniera disumana”. Ma l’aspetto più delicato riguarda “il trauma che tutti hanno subito“. Ci sono casi in cui si manifestano “disturbi cognitivi”. E della comunicazione.

Missionari Agostiniani

Padre Georges Mizingi è il responsabile del Vicariato dell’ordine di Sant’Agostino. Nella Repubblica Democratica del Congo. Descrive all’agenzia missionaria vaticana il progetto di reinserimento sociale ed economico. Rivolto a bambini vulnerabili nella città di Dungu. Evidenzia il religioso: “La problematica dei bambini soldato è molto complessa. In particolare nella regione dell’Haut Uele. Nel nord est del paese. C’è stato un conflitto devastante. E di lungo periodo. Che ha quasi distrutto la società di questa parte del Congo. I bambini hanno subito conseguenze atroci. Hanno perso i genitori. Hanno abbandonato i processi educativi. Quindi la nostra azione è volta ad offrire aiuto. A coloro che hanno avuto un’esperienza di guerra come soldati. Ma più ampiamente a tutti quei bambini che consideriamo più vulnerabili. Ovvero coloro che hanno subito le conseguenze indirette della guerra. Bambini che sono stati mutilati. O che sono stati testimoni di violenze nelle loro comunità”.

Paola Anderlucci

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