Imartiri cristiani uccisi in odium fidei non sono “vittime” ma “testimoni”, e i media devono mostrare cura e senso di responsabilità quando raccontano le loro vicende, evitando di utilizzare toni sensazionalisti e accenti vittimisti solo per raccogliere qualche consenso e magari qualche sottoscrizione in più. Sono questi i criteri chiave recentemente richiamati da Anba Angaelos, Arcivescovo copto ortodosso di Londra, come contributo di chiarezza offerto soprattutto a quanti sono impegnati in iniziative di informazione e sensibilizzazione a vantaggio delle comunità cristiane sottoposte nel mondo a persecuzioni.
“Quando vogliamo sostenerli” ha detto tra l’altro l’Arcivescovo copto nel suo intervento tenuto giovedì 4 luglio a Londra, nella San Margaret church, presso l’Abbazia di Westminster, in occasione della conferenza annuale di Embrace the Middle East, organizzazione cristiana impegnata a sostenere progetti e iniziative a favore di persone e comunità vulnerabili in Medio Oriente – “dobbiamo guardare loro, le loro sofferenze, e non noi stessi. Non dobbiamo trattare con senso di superiorità le comunità locali, non dobbiamo esportare le nostre opinioni su ciò che loro ‘devono’ essere, ma piuttosto rendere onore a ciò che loro sono davvero. Occorre ascoltarli. Etichettare i martiri come vittime offende ciò che loro realmente sono: perché loro non si vedono come vittime, ma come testimoni. Possiamo riconoscere, certo, la loro vulnerabilità. Ma la vulnerabilità è cosa diversa dal vittimismo”. “Siamo tutti alimentati dai media” ha rimarcato l’Arcivescovo copto ripreso da Fides “ed è importante che i media si mostrino responsabili nel modo di parlare di persecuzione, perché a volte usare un titolo a effetto solo per avere qualche sottoscrizione in più può mettere a rischio delle vite”. Nel febbraio del 2015, 20 cristiani copti erano stati sgozzati dall'Isis. Le immagini avevano fatto il giro del mondo.
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