Ma il ministro della Giustizia Choe Myong-nam, alle accuse diplomatiche, sembra aver risposto in maniera particolarmente “serena”, convinto del fatto che il governo stia agendo per il meglio: “In Corea del Nord non ci sono lager – ha detto – ma centri di detenzione dove le persone vengono convinte a migliorare i propri pensieri e a ragionare sui propri errori. Questo, tuttavia, non cambia una situazione buona, che può essere e sarà migliorata, dove le condizioni di vita della popolazione sono dignitose e rispettate”. Secondo il funzionario, inoltre, “quella nordcoreana è una società in transizione, e per questo possono esserci dei problemi. Potremmo aver bisogno di costruire altre case o creare migliori servizi sociali per dare alla gente condizioni di vita migliori”.
Un cambiamento in cui i pensieri delle persone vengono “migliorati” in centri di detenzione è paradossale. E se fino a qualche settimana fa le Ong ribadivano che la razione quotidiana di cibo distribuita alla popolazione non supera i 250 grammi, quella del rappresentante nordcoreano si presenta alla comunità internazionale come l’ennesima negazione di un problema evidente, costato fino ad oggi milioni di vite umane.
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