Un’Italia giusta e ricca di legalità

Ieri, 25 aprile 2021, con qualche commozione (per echi lontani) abbiamo festeggiato la Liberazione. In molti, donne e uomini coraggiosissimi, d’ogni età, d’ogni collocazione sociale, tutte e tutti generosissimi, avevano preparato il tempo della liberazione opponendosi al sistema cupo della dittatura, facendo girare la voce dei diritti umani, dei diritti, delle doti tradizionali dell’onestà, della sincerità, della giustizia, della fratellanza, dell’onore.

Commossi, ma non ciechi né sordi, abbiamo provato a riportare in circolo la nobiltà del coraggio per verificarla nei nostri giorni. Folle, folli tutti quelli che pensano e straparlano di autoritarismo e dittature in salsa nostrana nei nostri giorni. Dunque, non abbiamo l’occasione per dimostrarci eroici, forse per essere eroi, abbiamo l’occasione per essere normali in un’Italia normale.

Però, non siamo né ciechi né sordi rispetto alla pesantezza sociale di comportamenti, nei luoghi e nelle situazioni più diversi, che fortunatamente non hanno rappresentanza politica tale da fondare una dittatura ma hanno distribuzione diffusa tale da farci configurare tratti caratteristici degli autoritarismi, il marciume, la corruzione, la paura di opporsi, una certa vigliaccheria, quella per intenderci, del ritenersi non responsabili, non interessati.

Almeno fino a quando non si è percossi direttamente. Allora, magari, non dico che si diventa eroi ma si cerca di farsi sentire. Nel tempo della dittatura e nel tempo della libertà, di immutati, con riferimento ad accreditate analisi sociologiche concernenti il nostro Paese, si riscontrano sacche eguali di omertà, di propensioni coschistiche, di accordi sottobanco, a dirla tutta, di cedevolezza alle mafie e ai comportamenti mafiosi.

Allora, nel giorno della Liberazione, un quotidiano, La Repubblica, ha pubblicato un dossier sulle baronie universitarie, ricostruendo per filo e per segno, anche sulla base di atti processuali, una situazione vasta di illegalità, ingiustizia, dannosità sociale.

Un po’ di commozione l’abbiamo provata per i tanti giovani che sono stati svantaggiati, delusi, danneggiati da quelle baronie. Un po’ di commozione l’abbiamo provata per un Paese che non sa trarre profitto dalle risorse migliori che possiede, le intelligenze dei giovani.

Ammirazione incondizionata l’abbiamo provata per la risposta spontanea, diffusa, coraggiosa, di chi si oppone all’ennesimo “sistema” di cui si tratteggiano i confini nelle cronache nere dei nostri giorni.

Per certo, dovremmo esser stati in grado di dare un giudizio positivo di un fenomeno che con molto ritardo si è fatto strada nella legislazione nazionale. Quello, ormai presente nella legislazione, della protezione di chi nelle amministrazioni pubbliche, come nelle strutture produttive private, tutela chi trovi il coraggio di denunciare violazioni di legge.

Potrei indulgere nell’enfasi ricordando che negli Stati Uniti una legge del genere fu fatta dal Presidente Lincoln! Ma non c’è da enfatizzare nulla. Negli Stati Uniti dopo due-tre secoli la corruzione è ancora intatta, nonostante i perfezionamenti apportati alle leggi.

Allora, mentre gioiamo per l’approdo legalitario concretizzatosi con le leggi sulla responsabilità penale e amministrativa in ambito privato e quelle per combattere la corruzione in ambito pubblico, un certo stupore, anzi per non esser reticenti, un certo disgusto, si deve manifestare pubblicamente per i messaggi contraddittori che l’opinione pubblica riceve.

Otto giorni prima del paginone sulla corruzione universitaria, quel medesimo giornale, La Repubblica, aveva ospitato il commento di una giornalista progressista, Concita De Gregorio, su un fatto assai doloroso e tuttavia meritevole di essere oggettivizzato, non emotivizzato.

Alla dott.ssa De Gregorio, a mio avviso, deve proporsi una riflessione giusta con riguardo ad una valutazione impropria di un comportamento corrispondente ai valori costituzionali consacrati con parole dirette “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.

La giornalista commentava un fatto dolorosissimo, quello di una dirigente del MIUR gettatasi dalla finestra per aver avuto la notizia di indagini aperte nei suoi confronti. Se una persona si getta dalla finestra ha diritto di comprensione umana, di amicizia. Le deve essere accordato, però, se il suo comportamento è derivato da un’accusa mossa nei suoi confronti, il diritto di un giusto processo.

Se la notizia di reato nei suoi confronti abbia avuto origine in una denuncia, a tutti noi che veniamo informati del fatto compete di invocare la trasparenza della giustizia, non di condannare l’uso legittimo della legge.

Non ripugna al cittadino onesto che lo Stato difenda chi trova il coraggio di denunciare la violazione della legge. Ripugna il fatto che i valori dell’omertà abbiano a prevalere sul valore dell’onestà.

Spaventa un passaggio del pensiero della giornalista che marginalizza il fatto, con una espressione davvero singolare, la seguente: “che poi i fatti contestati siano reali, da questa prospettiva, è secondario”.

Questo non corrisponde a quello che pensiamo debba essere un’Italia giusta e ricca di legalità. La rettifica va in questo senso: chi denuncia una violazione di legge lo fa assumendone la responsabilità, rischia in proprio. Se mente, diviene automaticamente un calunniatore e ne paga le conseguenze, disciplinari e penali.

Il saldo democratico tra il dolore che si prova per una vita messa in pericolo e la salute legale e morale dello Stato, ad ascoltare il Paese è del tutto pendente dalla parte della giustizia.

Giovani studiose e giovani studiosi, donne quotidianamente martirizzate nei luoghi di lavoro, ammalate ed ammalati ingiustamente penalizzati nelle cure, anziane ed anziani massacrati nelle residenze, operatrici ed operatori pubblici e privati alla ricerca della tutela delle loro persone, tutti insieme vorrebbero che ci fosse nei loro ambiti qualcuno che rompesse il muro dell’omertà, nelle forme protette stabilite dalla legge, a tutela dei singoli, dello Stato, dei luoghi di lavoro privato. Insomma, della giustizia.

Il giorno dopo quello della celebrazione della Liberazione, fatto drammatico ed esaltante della nostra storia, uno spazio per essere insieme fieri di vivere in questo meraviglioso Paese c’è ed è quello di essere tutti fratelli e sorelle e di lasciare che chi ha il coraggio di denunciare ogni male sociale, ogni rottura della legge, non sia considerato un delatore, una delatrice, bensì un fratello, una sorella.