“Il decreto del 22 aprile prevede un Certificato nazionale di vaccinazione che viene rilasciato dalle Regioni e dà la possibilità di muoversi liberamente in tutta Italia“. Lo ha detto, durante la registrazione di Porta a Porta, il commissario straordinario all’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo.
Il commissario ha spiegato che questo certificato “può essere dato a chi ha fatto le due dosi di vaccino, o la dose unica nel caso di Johnson, e a chi è guarito dalla malattia, e ha una validità di sei mesi. Poi, c’è un certificato che dura solo 48 ore per chi fa i tamponi”.
Per quanto riguarda il certificato europeo, che permetterà di muoversi in tutta l’Europa, Figliuolo ha detto che “arriverà a giugno” e ha aggiunto che si sta già lavorando a questo scopo “con un gruppo di lavoro interministeriale a guida Palazzo Chigi”. Figliuolo ha già appoggiato i target di somministrazione giornalieri regionali.
Sul tema pass vaccinale, interviene però il garante della Privacy, Pasquale Stanzione. “Così com’è, la norma non circoscrive sufficientemente l’ambito di utilizzo dei pass, con il rischio di interpretazioni, magari in buona fede, che però abbiano l’effetto di estenderne indebitamente il perimetro”, spiega, in un’intervista a La Stampa, Stanzione, presidente dell’Autority per la protezione dei dati personali.
“Non vi è una chiara definizione dei protagonisti del trattamento (titolare e responsabile in particolare) necessaria invece, a tacer d’altro, per l’esercizio, da parte degli interessati, dei diritti loro riconosciuti dalla disciplina privacy – aggiunge Stanzione -. Inoltre, la previsione di due modelli diversi di pass a seconda che siano tampone negativo o da guarigione o, invece, da vaccino andrebbe sostituita dall’indicazione della sola scadenza temporale del certificato”. ”
Vanno poi introdotte garanzie adeguate alla natura dei dati trattati, che sono sensibili. Norme dall’ambito applicativo non ben definito, prive di una chiara indicazione dei soggetti responsabili e delle misure idonee a prevenire indebiti trattamenti dei dati, rischiano infatti di complicare, anziché – conclude – agevolare l’azione di contrasto della pandemia”.
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