L’Italia si ferma a ricordare il giudice Paolo Borsellino a 25 anni dalla strage di via D’Amelio a Palermo. Un attentato che chiuse la stagione delle vendette mafiose nei confronti di uomini di Stato e portò, nei mesi successivi, all’arresto di Totò Riina, mandante dell’eccidio e della precedente strage di Capaci. Il 19 luglio 1992, alle ore 16:58, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H telecomandati a distanza, esplose in via Mariano D’Amelio 21, sotto il palazzo dove viveva la madre di Borsellino, presso la quale il giudice quella domenica si era recato in visita.
Successivamente l’agente sopravvissuto Antonino Vullo raccontò così l’esplosione: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”. La Squadra Mobile, giunta sul posto, descrisse uno scenario di guerra con “decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati”. La deflagrazione provocò inoltre, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via.
La morte del giudice antimafia è uno dei misteri italiani. Tra gli enigmi c’è quello legato alla nota “Agenda rossa” che il magistrato teneva sempre con sé e che sparì pochi istanti dopo la strage, nonostante il caos di quei minuti. Il processo sulla trattativa Stato-Mafia sta cercando di fare luce sulla vicenda, in particolare sul ruolo svolto dai servizi segreti in quella circostanza. Il sospetto che Borsellino fosse sulla black list di alcuni uomini politici in molti non è ancora sopito.
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