UNA DINASTIA ESEMPLARE

Una dinastia di giuristi, protagonista nella vita politica del Paese. Un testimone di ideali e competenze passato con naturalezza da padre in figlio, una famiglia votata alle Istituzioni, al diritto, al concetto di equità. Abbiamo incontrato Saverio e Cesare Ruperto, il primo già Sottosegretario di Stato agli Interni con delega all’Immigrazione; il secondo giurista di chiara fama ed ex Presidente della Corte Costituzionale. “Ma ci tengo a dire – afferma con orgoglio il giudice Cesare Ruperto – che mio figlio è più bravo di me, più preparato… Lo scriva, mi raccomando!”.

Intervista al giudice Cesare Ruperto

[cml_media_alt id='10865']Ruperto (1)[/cml_media_alt]Giudice, facciamo un salto temporale. Cosa ricorda della sua infanzia?
Per me è un continuum temporale, dai 3 anni ad adesso. Ero un bambino normale, molto appassionato della meccanica. Mi dispiace che allora non c’era tutta questa tecnologia sennò sarei stato un campione.

Una testimonianza di suo padre?
Quando io ero già magistrato, mi disse: Cesare senti, mi devi aiutare a fare una motivazione di una sentenza, si vede che vogliono appellare… Io la studiai e gli risposi: guarda che la tua sentenza è sbagliata, e gli mostrai la norma di riferimento. Mi guardò e disse: no, non è sbagliata la mia sentenza, è sbagliata la legge. Mi rimase impressa questa lezione di vita, e poi scoprii che quella legge era stata approvata, ma alla fine di un grande scontro in aula proprio sulla sua legittimità e sulla sua opportunità.

Lei ha vissuto il ’75 da protagonista in qualità di docente. Com’è cambiato il movimento studentesco dall’epoca a oggi?
Gli studenti di oggi sono svuotati secondo me di idealità. Io non condividevo assolutamente i moti dell’epoca, tanto è vero che dopo essere stato contestato lasciai… Però seppur non condivisibile assolutamente, quel movimento aveva un contenuto di ideali. Adesso vedo contestazioni, ma vuote…

La Costituzione italiana: è ancora al passo con i tempi?
Guardi, su questo c’è un equivoco forte, perché hanno ragione un po’ tutti. La prima parte non va cambiata perché enuncia dei principi universali ed eterni che ci invidiano e che tutti hanno più o meno copiato. Ma la seconda parte, che attiene all’organizzazione dello Stato, ormai è invecchiata. Va senz’altro modificata. Poi come e quanto non si può stabilire a priori, bisogna discuterne.

La creazione dell’Unione europea ha valorizzato oppure mortificato le singole Costituzioni dei vari Paesi?
Ha rafforzato la tutela dei diritti perché ora tutti, sia individuali sia sociali, hanno la tutela della Corte Costituzionale, della Corte di giustizia e quella di Strasburgo.

Quanto è stato difficile far dialogare le varie anime della magistratura?
Beh, riuscii a far fondere due organizzazioni che erano su posizioni diverse; ero abbastanza giovane e dunque ho rinverdito un movimento che era fatto di personalità stimatissime ma un po’ parrucconi, grandi magistrati ma tutti anziani. Ci siamo avvicinati all’altra corrente, nonostante ci considerassero di destra, perché avevamo tre principi: l’imparzialità assoluta del giudice, il fatto che un’associazione di magistrati non deve essere un sindacato che tutela l’interesse economico della corporazione, l’opposizione alla carriera automatica. Poi a un certo punto ho visto che questi principi erano condivisi un po’ da tutti, e allora ho chiesto la fusione.

Com’è stato mettere tutta la sua esperienza a disposizione del calcio?
Mi chiamò al telefono il commissario dell’epoca, il professor Rossi, e mi disse: “Le ho telefonato perché la Patria chiama”… Nientedimeno, pensai, e che è successo? Qui ci vuole – disse – un presidente che abbia esperienza, e nello stesso tempo il coraggio. Sono andato lì, ho fatto il mio dovere e poi me ne sono andato, perché sinceramente è un mondo attaccato così tanto al denaro… Pensi che non volli nemmeno la mia indennità.

Come dovrebbe essere il prossimo presidente della Repubblica?
Il più possibile simile a quello che abbiamo. Cioè deve avere lo stesso coraggio, la stessa esperienza, la stessa neutralità nella funzione che esercita. Equilibrato come lui, che per me è stato uno dei migliori Presidenti, tra i primi due o tre come grandezza. Penso che Napolitano abbia salvato l’Italia.

Lei è stato l’artefice di un passaggio non solo simbolico all’interno del palazzo della Corte, la sostituzione del crocifisso con un dipinto. Ci racconta com’è andata veramente?
Io ho avuto delle contestazioni in seno alla Corte. Ma come – dicevano – il crocifisso che l’ha messo un presidente laico (De Nicola, ndr) e lo toglie un presidente cattolico?! La verità è che dovettero fare dei lavori di restauro per sostituire le tende infiammabili con altre ignifughe. L’aula si trasformò in cantiere, e io un giorno decisi di andare a vedere dentro lo stato delle cose e trovai il crocifisso coperto di calce, sporco. Lo presi, lo feci pulire e lo riparai nel mio studiolo. Quando l’aula fu di nuovo agibile, pensai che fosse l’occasione buona per andare oltre le polemiche degli anni precedenti, e ci feci mettere il quadro della Sacra Famiglia. Ancora oggi le cose stanno come le misi io. E pensi che in casa mia non c’è stanza dove non ci sia un crocifisso.

Intervista al professor Saverio Ruperto

[cml_media_alt id='10861']saverio_ruperto[/cml_media_alt]Professor Saverio Ruperto, lei ha avuto da Sottosegretario una delega particolare: immigrazione e integrazione. A che punto siamo in Italia?
Si è fatto tanto ma ancora c’è da fare su questa strada. Io penso che la cosa da esercitare quotidianamente sia l’equilibrio nelle scelte e anche nel modo di affrontare quella che purtroppo è diventata un’emergenza quotidiana.

L’Europa, in questo senso, ha fatto abbastanza?
Secondo il mio parere l’Europa si è pressoché disinteressata del problema italiano, appellandosi a criteri numerici, matematici; perché è vero che in molti Stati d’Europa c’è un flusso migratorio in entrata, ma è anche vero che il disordine, l’anarchia che regola per così dire i movimenti verso l’Italia non sono paragonabili a ciò che accade da altre parti, ma questo dipende dal fatto che abbiamo tanta costa.

Riforma della giustizia: qual è la direzione da prendere?
Le criticità di qualsiasi riforma della giustizia sono nel dialogo difficile tra politica e magistratura. Io credo che su questo si possa operare nella misura in cui ciascuna delle parti in causa faccia uno sforzo al fine di arrivare a scelte equilibrate che riescano a essere al passo con i tempi.

Come nasce la sua passione per il diritto?
Non posso prescindere, nel momento in cui analizzo un aspetto come questo, dalla mia tradizione familiare. Dalla saggezza di mio nonno si è passati alla sapienza di mio padre e si è arrivati al mio rigore; con lo studio riesco ad occultare la mancanza di saggezza e di sapienza.

Cosa significa essere figlio di un presidente della Corte Costituzionale?
So cosa vuol dire essere figli di Cesare Ruperto, cioè di un uomo che ha sempre esercitato la libertà delle idee, delle espressioni e della personalità di ognuno, a cominciare dai figli, lasciandosi sempre guardare come modello, senza mai nella sua vita aver derogato neanche una volta al suo stile, alla sua rettitudine morale.

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