UN CALABRONE CHE MUOVE L’ECONOMIA

Cremona, zona industriale. Nel cortile un operaio al “muletto” è intento a spostare bancali di materiali ferrosi al magazzino. Il capannone è grande, 1.300 mq di superficie, tavoli come camper pieni di attrezzi, macchine ad alta tecnologia per lavorare i metalli, operai impegnati nelle loro attività. Un’azienda metalmeccanica perfettamente funzionante. Il responsabile Enzo Zerbini, dice che loro nonostante la crisi riescono ad andare bene. Non stiamo descrivendo una multinazionale che fa parte della top ten degli incassi globali, ma la cooperativa sociale “Il Calabrone ”.
Prima dell’arrivo di Zerbini, la coop era stata avviata nel 1996 dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, e come molte altre puntava a semplici lavori di assemblaggio, per il recupero di ragazzi che arrivano dal carcere o dalle comunità terapeutiche. Nonostante l’impegno dopo un anno di attività i debiti aumentavano, si rischiava di chiudere. Allora si decise di puntare più in alto. Così Primo Lazzari, responsabile della comunità in Lombardia e presidente della Cooperativa, chiese a Enzo di coinvolgersi, mettendo a disposizione dei più deboli quelle competenze che aveva acquisito lavorando per varie industrie metalmeccaniche. Davanti a Zerbini due strade: la carriera nelle aziende che vantano un nome oppure rischiare il tutto per tutto con “Il Calabrone”. Lui sentiva che la vera sfida era quest’ultima, voleva dimostrare che “è possibile avviare una vera impresa sociale, competitiva con altre imprese sul mercato, e uscirne vincenti”.
Così, d’accordo con la moglie lascia l’azienda per cui lavorava e decide di investire in questa avventura. All’inizio è stata dura, spiega, perché “le officine vedono sempre le cooperative come una realtà da sfruttare – e prosegue – per un po’ abbiamo accettato anche noi lavori sottopagati, ma poi abbiamo smesso. Non volevamo essere parte di questo meccanismo”.
I lavoratori di questa azienda sono quelli che la società considera “scarti”, in cui nessuno ha più fiducia: carcerati, ragazzi usciti dalla comunità. Uno schiaffo a chi non crede che una persona possa riscattare gli errori commessi nella sua vita. Ed è proprio la voglia di iniziare una nuova vita, dimostrando alla società davvero che possono valere, che porta questi lavoratori “svantaggiati” a tirare fuori le proprie capacità al massimo. Per alcuni la cooperativa è solo un luogo di passaggio, formativo, altri invece sono assunti stabilmente.
Ovviamente il progetto umanitario che c’è dietro, non fa dimenticare che nel mondo di oggi occorre essere competitivi per riuscire “a sbarcare il lunario”. Per questo “Il Calabrone” investe sempre in nuove tecnologie che possono ottimizzare il lavoro e migliorarne la qualità. Dice Enzo che è solo un luogo comune da smontare il fatto che la macchina tolga il lavoro all’uomo, infatti “qui diventa un gigantesco ausilio che rende pienamente produttivo anche chi ha dei limiti”.
Adesso il progetto per il futuro è quello di avviare un reparto di taglio che permetterà di inserire altre 7 persone che altrimenti potrebbero avere serie difficoltà a trovare un posto di lavoro a causa del loro passato. Si inizierà nel nuovo capannone in costruzione di 900 metri quadri, forse poi ne prenderanno anche un altro. Inoltre, stanno sviluppando anche la produzione di un particolare meccanico, che venderanno come prodotto finito, non in conto terzi. “Se dai ai ragazzi la possibilità di esprimersi e migliorare, – conclude Enzo Zerbini – tirano fuori qualità incredibili”. La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata quindi testata d’angolo, lo zoccolo duro di una cooperativa sociale, ma competitiva su tutti i livelli, che non solo non risente della crisi e non è costretta ai “tagli” e politiche di sacrificio, ma addirittura è in espansione.
liberamente tratto da “Sempre”