TESORI NASCOSTI, STORIE DI UNA ROMA DIMENTICATA

Aziende vendute ad acquirenti esteri ma non solo. Ora pure i monumenti. Il Castello di Sammezzano a Reggello, ad esempio, progetto del barone Ferdinando Panciatichi Ximenes (architetto autodidatta), se lo sono presi gli emiri del mondo arabo, dopo anni e anni di abbandono, aste a vuoto e degrado galoppante per quello che resta uno dei complessi architettonici più originali e amati del nostro Paese, location cinematografica d’eccezione e commistione unica di stili artistici orientaleggianti. Una vera e propria perla, intarsiata da finiture d’arte orientale e immense sale decorate, immersa nelle colline toscane non troppo distante da Firenze. Un bene che, come troppo spesso accaduto, pur nella sua magnificenza ha conosciuto un lungo periodo di oblio. La medesima sorte toccata ad alcuni “tesori nascosti” del nostro Paese, in particolare nella città di Roma che, in quanto Capitale e metropoli, di testimonianze dimenticate ne è davvero piena.

Samezzano e i suoi fratelli: storie di abbandono

La storia di Samezzano, infatti, non è dissimile da quella dei troppi beni culturali italiani lasciati all’abbandono o, a volte, finiti in mano straniera a discapito del marchio “made in Italy“. In molte occasioni, l’affido a compagnie estere o a brand internazionali risulta una sorta di ancora di salvezza, come nel caso di Sammezzano, per il quale il timore principale risultava essere una nuova asta conclusa con un nulla di fatto. Pur non essendo ben chiaro quale sarà la linea d’azione degli acquirenti (15,4 milioni in tutto sborsati per ottenere la gestione del bene italiano), un nuovo corso potrebbe aprirsi a breve per la magnifica location di Reggello, con la speranza che nonostante tutto possa parlare un po’ italiano. Ma, come detto, di monumenti di eccezionale rilevanza architettonica in preoccupante stato di abbandono in Italia ce ne sono e, il più delle volte, l’abitudine a considerarli parte del paesaggio urbano risulta più forte della piena considerazione del loro valore. Le condizioni precarie riscontrate negli anni nel sito archeologico di Pompei, ad esempio, possono essere considerate una sorta di pietra miliare in questo senso. Ma, tralasciando per un momento i grandi nomi, altrettanto meritevoli di attenzione sono i cosiddetti “tesori dimenticati“.

Roma, il caso “San Clemente”

Da questo punto di vista, come detto, la città di Roma può considerarsi una sorta di capostipite in fatto di gioielli nascosti dietro un velo di preoccupante degrado abitudinario, soprattutto nei quartieri periferici dove, a ben vedere, i tesori si celano molto spesso sotto i nostri occhi senza che ne sia compreso appieno il valore. Probabilmente molti passanti, oltre ai residenti del quartiere di Torre Angela, in piena periferia orientale, avranno notato l’enorme chiesa di San Clemente situata lungo la Via Casilina, più o meno al confine del quartiere, edificata in adiacenza al maschio di Torrenova. Un gioiello del ‘600, sconosciuto ai più, forse perché chiuso da 56 anni e lasciato a sé stesso nonostante l’enorme valenza dal punto di vista artistico. Una perla che, però, ha interessato le varie amministrazioni solo a fasi alterne, con un unico spiraglio di restauro avuto nel 2015, dopo l’acquisizione (mai perfezionata) del bene da parte del Municipio qualche anno prima. Un progetto finito in breve tempo per il solito problema: mancanza di fondi. Eppure, all’interno delle diroccate mura (nonostante tutto discretamente conservate), vi hanno lavorato artisti di nome e, tutt’oggi, l’edificio risulta consacrato.

Le “tre teste” di Sant’Anna

E la lista potrebbe proseguire: più o meno la medesima sorte, per restare nell’est della Capitale, è capitata alla semisconosciuta chiesa di Sant’Anna, nel quartiere di Tor Tre Teste, lungo la Via Prenestina. Un luogo di culto anch’esso seicentesco, con annessa torre di San Giovanni (XIII secolo), soggetta a diversi crolli parziali tra il 1948 e il 1972 che le conferiscono un aspetto particolare, incastonato nel trafficato contesto urbano nel quale sorge. D’altronde, questione sconosciuta ai più, tale edificio conferisce il nome al quartiere stesso per via del fregio posto sulla facciata che raffigura tre volti: le “tre teste” appunto. Da una piccola finestra, posta vicino al bassorilievo, si può osservare ciò che rimane dell’interno, dai ruderi al tetto divelto. I resti di quello che, a ben vedere, può essere considerata l’ultima testimonianza rimasta del passato del luogo, parzialmente distrutto (una villa romana e il sepolcro dell’architetto Lucio Cornelio) durante i lavori di urbanizzazione.

Rinascite e recuperi

Per tornare a sperare in una nuova “vita”, al Mausoleo di Augusto sono serviti 70 anni. Quello che è considerato uno dei più importanti monumenti funerari mai edificati dalla civiltà romana, il degrado l’ha conosciuto per tanto tempo. Nel 2019, quando verosimilmente dovrebbero concludersi i lavori di restauro finanziati dai 6 milioni della Fondazione “Tim”, il Mausoleo augusteo, il più grande dell’antichità nel suo genere, tornerà a essere finalmente un bene simbolo della città, cercando di dimenticare i troppi lustri trascorsi alla stregua di cantiere. Un destino simile a quello del Torrione prenestino, nel quartiere del Pigneto, soggetto a lavori di restauro pluriennali e tornato alla fruizione del pubblico soltanto nel 2010, non prima di essere stato in parte “smussato” della sua cinta muraria per far posto alla cosiddetta sopraelevata della Tangenziale est. L’ultima questione, ma solo a livello di cronaca, è quella del Parco archeologico di Centocelle (Pac): un polmone verde in piena periferia, lasciato al più totale degrado, combattuto dal Comitato “Pac”, composto da cittadini. L’obiettivo, salvare dall’abbandono e dai roghi tossici quello che potrebbe rappresentare una delle migliori aree ludico-ricreative della Capitale, perfettamente bilanciata tra verde pubblico e testimonianze della Roma antica.

Beni da salvare

Tesori dimenticati, dunque, e ogni grande città d’Italia ha i suoi, spesso incastonati nell’ingranaggio della burocrazia amministrativa che, il più delle volte, impedisce o ritarda la valorizzazione di beni storici di fondamentale importanza che, assieme al loro recupero dal punto di vista artistico, potrebbero costituire il miglior deterrente alla preponderanza dell’urbanizzazione cementizia, proprio in virtù del loro ruolo nella memoria storica dei quartieri. Nella maggior parte dei casi, il nodo principale risulta essere la mancata intesa amministrativa, perlopiù a livello locale. E’ anche vero che, in caso di monumenti di particolare rilevanza o testimonianze di un passato comune, l’interessamento delle autorità statali potrebbe risultare quantomeno un aiuto. In caso contrario, il rischio è quello di Samezzano: l’intervento di brand esteri per estrarre dall’oblio i tesori di casa nostra.